Difficile scegliere la colonna sonora che mi accompagnerà nella stesura dell’intervista che ho da poche ore fatto…Si è parlato di Pop-Art, di Rolling Stones e Velvet Underground, quali suoi ispiratori quando suonava il basso in una band a Bari, ma il rock mi farebbe venir voglia di ballare. Metto Miles Davis, “‘Round About Midnight”, così la sua tromba riporterà in superficie le nostre parole. Ma chi ho incontrato? vi chiederete voi…Be’, non lo so nemmeno io, forse una creatura venuta da un mondo fatto di colori accesi, di contrasti tra urbano e profonda intimità. Una creatura che ama i volti umani nella loro sincerità e pienezza d’espressione, che ha ancora voglia di giocare e di scoprire le persone con tutti i loro mondi. Ecco chi è Marco Buonamico, in arte Sva!
Ore 18.40 dell’11 gennaio 2006, la mia prima intervista dal vivo, di nuovo a Milano: io e il mio bianco piumino con bianco cappello entriamo a Le Trottoir dove sono esposte le opere dell’artista. Varco la soglia, incontro subito il suo sguardo e dico: “Sva?” E’ proprio lui. La conversazione si accende subito e scorre spontanea, ma per dover di cronaca, trasporrò il tutto in domande e risposte.
In arte Sva…da dove viene questo pseudonimo e il modo in cui lo scrivi?
“Dallo studio dei graffiti. Volevo che vi fosse un senso nell’unire le lettere, ma concentrandomi di più sulla parte visiva, ammorbidendo i tratti del graffitismo.”
Ma Sva, perchè sei un po’ svarionato?
“Eh, me lo chiedono tutti. No, perchè mi piaceva e basta…poi sì, un po’ svarionato lo sono”. E ride.
Quando ti sei avvicinato per la prima volta alla pittura?
“Nel 1997 ero a Madrid in Erasmus, studiavo psicologia. Lì vi è molto la cultura del riciclo e si trovano grandi bidoni di ferro contenenti di tutto. Una volta trovai dei giocattoli di plastica, dei pennelli e degli acquerelli mezzi consumati. Li presi e iniziai a dipingere. Si può dire che artisticamente io sia nato dalla strada.”
Come si è evoluta la tua storia?
“All’inizio non riuscivo a dare un valore a ciò che facevo, poi ho voluto capire se le mie opere piacevano alla gente. Dipingevo su ante e specchi e così ho fatto la mia prima mostra per strada, in Calle del Principe a Madrid. Ho esposto 25 quadri sul marciapiede e ho finto di essere un passante, stando a vedere cosa succedeva. In 6 ore 25 persone hanno preso le mie creazioni, senza sapere chi fosse l’artefice e senza che io chiedessi dei soldi. Le rincorrevo semplicemente per domandare loro perchè piacessero.”
Che insolita e “geniale” idea hai avuto. Cosa l’ha ispirata?
“Ho voluto ridare alla strada quel che lei aveva donato a me. Come dice la filosofia africana dello scambio di energie, se trovi una cosa devi subito riutilizzarla.”
Cos’ha Madrid, e la Spagna più in generale, di così speciale?
“A Madrid ci sono i Madrileni con il loro modo di vedere la vita, d’essere tristi, di ridere, ma in maniera molto pacata, facendosi scivolare addosso un po’ tutto e in maniera più aperta rispetto a noi Italiani. A Barcellona poi ho trovato tanti artisti.”
E quando sei tornato a Bari cosa hai trovato?
“Il servizio civile. Lì vi sono molti limiti artistici, ma ho comunque esposto in alcuni posti, come alla Fiera del Levante, intitolando ogni mia esposizione “Arte de calle”. A una mostra, dove esposi i miei pupazzi in buste di plastica “For sale”, a un prezzo popolare di 15 Euro (perchè l’arte deve essere accessibile a tutti), venne il Professor Mirabella, che rimase colpito dall’idea. Ho anche lavorato coi bambini, facendoli dipingere ed esponendo i loro disegni. Mi piacerebbe tenere altri laboratori con loro. Per un po’ ho pure lavorato nella profumeria di mio nonno…in quel periodo dipingevo solo rossetti.”
Ti piace ancora giocare?
“Certo. Ho giocato coi pupazzi fino a 14-15 anni e, come vedi, non ho smesso.”
E le favole ti piacciono?
“Sì…adoravo “La storia infinita” e la leggevo come Sebastian, sotto alle coperte. Invece da grande mi è molto piaciuto “Patty Pusha e le altre storie”, di Almodovar, letto in spagnolo prima di partire per la Spagna.”
Torniamo con gli occhi alle opere di Sva e mi spiega che ripercorrono delle tappe fondamentali della sua vita: la musica, la Pop-Art con Basquiat, suo padre a cui è legatissimo, un rasta a cui piacevano molto le sue pizze alle Barbados nel 2005, Andrea G. Pinketts, che stima.
“Mi fa piacere averti conosciuta e aver parlato con te, mi hai fatto ripercorrere un pezzo della mia vita, che non mi capita spesso di raccontare.” Dice mentre ci salutiamo.
Rivolgo gli occhi ai suoi Pupazzi in ferro e cartapesta, appesi al soffitto, saluto lui. Entrambi certi di rivederci presto, felici di esserci guardati negli occhi da persone vere.
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