9th

Aprile

Un posto a Milano (nuovo)

Far da mangiare. Valorizzare i prodotti di campagna. E salvaguardare il patrimonio agricolo-culturale

Questa la nobile mission di Un posto a Milano: cucina e bar in quel di Cascina Cuccagna, settecentesca oasi urbana alle spalle di Porta Romana. Una corte cittadina in continuo divenire, restaurata grazie all’intervento di un gruppo di associazioni meneghine (esterni in primis) e trasformata in una realtà polifunzionale di aggregazione territoriale. In cui la ristorazione ha il suo compito fondamentale. Soprattutto se orchestrata da uno chef come Nicola Cavallaro: fino a pochi mesi fa sulle acque del Naviglio Grande e ora nell’isola green vicino a Corso Lodi.

A porte aperte

Un luogo di tutti che sia davvero per tutti. Una location da vivere, vedere e conoscere nella sua anima variegata. Il messaggio suona forte e chiaro. E così l’avventura di Un posto a Milano inizia proprio con lo spalancare le porte ai curiosi buongustai. Che, fino al 22 aprile, possono prenotare una visita, per un incontro-dialogo ravvicinato con il cibo sano e naturale e con i ritmi lenti dell’assaporare, dell’ascoltare e dell’osservare il salotto, le sale, le stanze del camino, i cortili e il pergolato. Senza dimenticare che il gustoso spazio diviene pure una roccaforte del Fuori Salone, ospitando, dal 17 al 22 aprile, il Public Design Festival, fra installazioni, cooking performance, laboratori, merende e bucolici pic-nic. Per una gastronomia sempre più sensibile all’ecologia.

Una lunga giornata…

Dal sole alla luna. L’agro-risto-bar è aperto all day long (dalle 10 all’una di notte), adeguando la proposta a seconda dell’ora del dì. Ecco dunque le prime colazioni, ritmate da torte di mele, da pane, burro e marmellata, da uova in cereghin con pancetta e da spuma di yogurt con salsa ai frutti rossi. Per poi passare a uno spuntino con focaccina e sformato di verdure e a un pranzetto seduti a tavola, in poltrona, al bancone o nel bel giardino. Assaggiando fresche insalate, orzo agli ortaggi con pesto di olive taggiasche, zuppa di fave con cicoria e caprino, nonché lasagnette alle erbette di campo e Parmigiano Reggiano. Intanto, dalle vetrate si può ammirare il cuoco che cucina, fare una passeggiata nell’orto, leggere e rilassarsi. Mentre la merenda si avvicina, corteggiando il palato con frutta, gelato o frullato. E per cena? Mortadella e salame rosa con sottaceti della casa; tortelli di coniglio e salsa alla cacciatora; pollo arrosto con patate al rosmarino e tiramisù. Infine, per il languorino di tarda sera, sfiziosi mondeghili e due sarde in saòr. Giusto a rammentar le venete origini di Nicola.

…a filiera corta

Stagionalità, genuinità e, soprattutto, tracciabilità. Qui, ogni ingrediente ha un volto e un’etichetta. Della serie: filiera corta tout court. Che, se non significa chilometro zero, vuol comunque dire contatto diretto con i produttori. Al fine di contenere i costi e proporre un prezzo onesto e corretto (il conto della cena si aggira intorno ai 30-35 Euro). E così il pane è quello a pasta madre dei Fratelli Longoni di Carate Brianza; la frutta della cooperativa bergamasca Aretè di Torre Boldone; latte e burro sono della Latteria Sociale Valtellina; e verdure, erbette, fave e agretti vengon dalla bio-azienda Corbari di Cernusco sul Naviglio. E ancora, le uova sono quelle delle galline che razzolano libere nell’aia dell’azienda comasca Bargero; i caprini dell’agricola maison Mapelli di Cassano d’Adda; i polli e i conigli sono allevati nella Fattoria La Fornace di Montechiaro d’Asti e le farine biologiche sono di Mulino Marino, in quel di Cossano Belbo. E se i salumi portano la firma bolognese di Pasquini e Brusiani, il formaggio Roj della Val Mastallone (stagionato in una cantina in pietra) è siglato dal caseificio vercellese La Giuncà di Fobello. Perché i chilometri non contano. Conta l’eccellenza.

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