15th

Febbraio

Intervista a Francesco Mandelli

È un musicista, ama il britpop e gli Oasis. Dimenticavo, ha anche lavorato, e lavora tutt’ora, per Mtv. Tutti lo conoscono come il Nongio. Il suo nome è Francesco Mandelli, nato e vissuto fino all’adolescenza nella ridente Brianza, ciuffo ribelle e indole europea. Abbiamo parlato con lui degli Orange, la band che condivide con Enrico Buttafuoco, dell’album Certosa (Midfinger Records), di Milano e dell’Europa.

Prima domanda a bruciapelo. Emanciparsi dalla figura del Nongio è possibile?
“Non ho mai pensato fosse necessario. La percezione della gente? non me ne preoccupo. Volevo realizzare progetti miei, spaziando dalla tv alla musica. Sto Nongiovane non lo conosco nemmeno in realtà, ma mi dicono che non è molto bravo…”.

Passiamo alla musica. In “Certosa” è frequente l’alternanza italiano/inglese nei testi, nei titoli e nell’immaginario. Come mai?
“Musica e testi escono fuori spontaneamente, molto spesso mentre faccio tutt’altro. Parte del disco nuovo è stata scritta mentre giravo una serie televisiva di cinque mesi tra Palermo e Roma. Uso italiano e inglese nel quotidiano e non vedo differenza tra una e l’altra. L’importante non è la lingua che usi ma quello che hai da dire”.

Gli Orange nascono come cover band degli Oasis, quindi l’ispirazione brit è dichiarata sin dagli inizi. Quali sono le band della nuova scena anglosassone che ti piacciono? E qualche nome italiano?
“Mi piacciono i Dirty Projectors, Bombay Bicycle Club, Telepathe, ma non trovo in giro molta roba nuova che mi fa impazzire. L’ultimo disco di Adam Green è una bomba, il progetto solista di Casablancas e l’ultimo dei Phoenix è figo, anche i Little Joy hanno fatto un bel disco. Secondo me la rivelazione della stagione saranno gli XX. In macchina ho un disco di Serge Gainsbourg e gli Arctic Monkeys”.

L’album si divide tra l’immaginario della periferia milanese di Certosa e Londra. Cos’hanno in comune?
“Poco. Il cemento, i travestiti credo, il grigio. In italia la periferia rimane più deprimente di quanto sia creativa. Un giorno un mio amico mi ha spiegato perché in Inghilterra fanno musica fighissima mentre da noi c’è il neomelodico. Là si svegliano la mattina e piove, da milioni di anni. È chiaro che ti incazzi e questa incazzatura la metti nelle canzoni. Da noi, checché se ne dica, si sta bene, ti alzi e c’è il sole, la mamma ti ha fatto da mangiare e si va tutti al mare insieme nel weekend. Chi ha la fortuna di uscire dall’Italia e farsi un giro capisce come vanno le cose e questo è una buon detonatore per produrre stimoli”.

La musica italiana è promossa nel modo giusto? Etichette indipendenti sono ancora il punto di riferimento?
“Ma và. In Italia il circuito indipendente non esiste. Le etichette secondo me andranno scomparendo sempre di più e ognuno potrà farsi il suo disco e farlo sentire in rete ma per quel che riguarda l’Italia la situazione la vedo grigia. Non potrebbe essere altrimenti in un paese come questo dove per la maggior parte dei ragazzi la musica non è una cosa in cui credere. Il punto di riferimento deve rimanere il live. Il disco è solo la ciliegina sulla torta”.

Cosa ne pensi di Milano a livello di concerti, serate… offre una proposta valida?
“Penso che Milano sia il posto migliore dove essere in Italia se vuoi vivere in una città. A Roma non c’è niente, hanno un modo di vedere la musica ancora così italianocentrico che non mi torna. Bologna non pervenuta. Torino era la Seattle d’Italia ma l’ultimo figlio dell’ex capitale è Lapo Elkan e non mi risulta abbia pubblicato dischi. A Milano se guardi bene c’è proprio tutto, dal teatro al jazz. Certo, rimane anni luce indietro alle altre città europee, ma in fondo la amo”.

Cosa si dovrebbe fare per avvicinarsi alle altre città europee. Questo gap si può colmare?
“Dovrebbero costringere tutti, compiuti i 18 anni, a farsi un bel giro fuori dallo stivale. Allora le cose cambierebbero. Saremmo meno provinciali. Quando vai all’estero e torni poi ti viene un nervoso per come stanno le cose da noi…”.

Hai vissuto in provincia. Credi che crescere in città abbia dei vantaggi?
“Crescere in provincia mi ha permesso di rimanere genuino rispetto al caos della città, di sperimentare ad un livello più intimo, più giocoso e personaggi esilaranti da osservare. La provincia rimane il vero cuore della società”.

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