Da questa estate percorre l’Italia con un tour che ha chiamato Tao Love Bus Experience. Lui si fa chiamare Tao ed è un ragazzo milanese di 35 anni che ha fatto della musica una compagnia di viaggio lungo una vita.
Hai trascorso un’estate suonando lungo l’Adriatico e sei reduce di diversi concerti con la stessa formula: suonare dal tuo bus Volkswagen. Bilancio?
La cosa migliore di questo piccolo tour sono le facce delle persone, ti rendi conto che ascoltando la tua musica i milanesi cambiano faccia e ti trovi di fronte a delle persone con la “p” maiuscola, non davanti alla “gente”. Il tour con il pulmino Volksvagen è nato come un concerto che va incontro alle persone, per portar loro musica di qualità. E poi è stata un’operazione nata anche per dare un segnale forte di vita.
Perchè proprio una soluzione come quella del bus Volswagen? Non è stato un po’ scomodo?
Quel pulmino è un po’ un’icona della musica rock anni ’60-’70. Io ho acquistato questo modello T2 del 1974 da un ragazzo di Imperia con l’intenzione di portarlo in tour. Forse è un po’ scomodo, ma non come sembra: il suono non rimbomba all’interno, anzi è perfetto. E poi contribuisce a creare l’atmosfera giusta, dà una dimensione intima e la gente apprezza anche il “sacrificio” di stare chiusi lì dentro. E’ stata un’operazione per dare un segnale forte di vita, a due anni dalla morte di mio padre. Gli ho dedicato Padre ti amo, che cominciai a scrivere quando ancora c’era mio papà e terminato dopo la sua morte.
Tu suoni batteria, basso, chitarra: da dove arriva tutta questa voglia di sperimentare strumenti diversi?
La musica per me è una sorta di corrente elettrica, non ne posso fare a meno. Io
ho iniziato come batterista pensando di fare quello nella vita. Le cose sono andate diversamente, ho cambiato progetti e mi sono buttato poi su chitarra e basso. Ma sono convinto che ognuno abbia tante personalità e risorse dentro di sè, ed è giusto lasciarle venir fuori, anche attraverso gli strumenti. Se ti senti un’anima funky ti butti sulla batteria, se ti metti alla chitarra, lascerai uscire un altro lato di te.
Quali sono i tuoi punti di riferimento nel panorama della musica italiana?
Sicuramente Luigi Tenco, oggi giustamente osannato, anche se spesso chi lo emula si perde in ermetismi, mentre la cosa che più mi piace di lui è la capacità di dire cose “dure” con parole semplici. In questo senso, era un cantante popolare. Oggi il pop viene sottovalutato, mentre è un genere importante perchè tocca davvero le persone. Cosa c’è che riesce a farti venire la pelle d’oca in 3-4 minuti? Solo una canzone pop. Poi mi piace Mina, il primo Paoli, tutto il filone anni ’60 della beat generation italiana anche un po’ frivola.
Ci spieghi perchè ti fai chiamare Tao?
E’ un nome che spiega la complessità che si porta dietro ciascuno di noi, per le mille personalità che abbiamo dentro. E’ un tema che torna anche in Mille me, scritta però sui tanti ruoli che ognuno ha: figlio, fratello, padre, marito, amante… ruoli non sempre facili da far convivere.
Vuoi dirci qualcosa sul tuo ultimo album L’ultimo James Dean?
Il titolo è per metà una provocazione. Subito la gente che lo vede penserà: “chi cavolo si crede di essere questo qui?”, in realtà è un omaggio a James Dean. Mi ha sempre scioccato la sua sincerità nel recitare, ha sempre portato se stesso sul set, i suoi tormenti, i suoi conflitti interiori, specie in La Valle dell’Eden. Nel mio piccolo cerco di fare un po’ la stessa cosa.
Vuoi esprimere una tua opinione sulla scena musicale milanese? Come ti sembra Milano da questo punto di vista?
Bisognosa. Di speranza, di fermento, di spazi per il fermento. Quando una città ha troppo da certi punti di vista, allora manca un po’ lo stimolo per vivacizzare là dove c’è meno. Poi non si riesce a creare una scena milanese, non che sia una necessità prioritaria, ma anche oggi tante band si stringono le mani, poi si sparano alle spalle. Manca un vero senso di famiglia.
Cosa vorresti dal futuro?
Togliermi di dosso certi pensieri comuni: che se non si ha una major alle spalle non si va da nessuna parte, o che se hai 40 anni non puoi più fare musica. Vorrei riuscire ad andare avanti con le soddisfazioni piccole e grandi che mi derivano dal fare musica.
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