Come una linea sotteranea, contatti, sperimentazioni e passioni, si fondono, il risultato sono i locali familiari che amiamo. Il filo rosso, sotto questa Milano che dorme poco, è stato tirato da personaggi che hanno creato il nostro attuale divertimento. Tra questi Sir Tucci aka Franco Ponti, che detiene le chiavi dell’Atomic, il salotto milanese pre serate albeggianti. Tucci ha messo i dischi in ogni angolo della città, poi è andato a spasso fra i nasi all’insù parigini e la toys mania nipponica. Classe ’75 è passato dall’amore per le audiocassette, ai primi giocattolini che poi diventano consolle, ha tatuati diamanti e una mano indù che simula lo yeah rock, mangia la cherry pie e sa come creare l’affollamento alle porte dei locali senza lista.
Tucci è una figura ben solida dei locali milanesi. Eppure c’è tanto altro oltre Milano nel tuo background. Da dove arriva il Tucci che è oggi?
“Sono nato qui a Milano, la mia tata russa mi chiamava Tucci e il nome me lo sono ripreso poi. Ho fatto mille lavori per pagarmi i viaggi, a 19 anni zaino in spalla sono andato in India, l’ho girata facendo di tutto, prima c’erano state Londra, l’Europa. Tornato in Italia mi sono iscritto all’università e non smettevo di viaggiare, lavorando come barman per partire, sono stato in tutti i contintenti. Amo viaggiare.”
Proprietario dell’Atomic e in parte del Garage, conosci ogni aspetto che crea un locale, a cominciare dal bancone. Nel tuo passato ha una bella fetta la fase di bartender.
“Sì perchè nasce prima che come lavoro per pagarmi i viaggi, come ripresa di un immaginario anni ’80, della Milano da bere che i miei mi avevano fatto conoscere e frequentare con gli apertivi della domenica al Bar Basso. Mi piaceva l’ambiente, il culto di quei cocktail. Linea che ho seguito anche quando lavoravo al Cuore.”
E poi la musica, tanti vogliono venire a metterla all’Atomic, tu oltre che a casa li metti ovunque, in primis al Sottomarino Giallo. Come hai incominciato?
“Nei primi anni ’90 la musica stava vivendo un passaggio ambiguo fra musica e tendenze, dove tutto si mischiava, crossover grunge, electro, lo skate. Andavo da Mariposa e in fiera di Sinigallia e compravo molti album, c’era il passaggio dalla cassetta al cd. I primi che ho preso sono stati i Madness, i Cramps, Rmdmc, i bootleg dei Motley Crue e dei Clash. Vai a scoprire sempre più a fondo le radici di questa musica fino ad arrivare al Theremin e la musica incominci a farla tu. Ora quando metto i dischi amo fare mash-up fra brani opposti. Mi piace iniziare slow pezzi facili e poi quando vedo come reagisce la gente spingere di più. Nel djing serve far divertire per prima cosa.”
Passaggio successivo Tucci che fa musica. A Parigi ad esempio suoni creazioni tue, nate dai tuoi amati giocattolini. Come sei arrivato a ciò?
“Partendo dal Theremin! Pensa che mi ricordo di una mia prof di matematica che ora vive a L.A. che ci spiegava proprio la materia attraverso la musica elettronica. Ho incominciato dalla base, in questo mi sono scoperto un nerd che ama il lato meccanico dei miei giocattolini, che sono macchine sempre più complesse per le quali ho fatto giri assurdi pur di averle, come un nuovo prototipo Yamaha. Sono arrivato ad avere 80 macchine. La prima la comprai nel ’93 era una D2 Roland, poi è stato un crescendo. All’epoca non c’erano i software, bisognava avere orecchio, conoscere bene la musica, e poi vai a ruota libera.”
Qual’è il segreto per creare il salotto e club che è l’Atomic?
“Curiosità in primis, nella location, nella musica, quando viaggi tanto, guardi, ti ispiri, frequenti. Franco Mosconi del Cuore mi diceva sempre di girare. La ricerca sul campo è essenziale. Ho diari interi dei miei viaggi, sono un grafomane, e segno tutto. Conoscere come si sta e cosa si fa dietro al bancone, far divertire senza selezioni e noia nella tracklist. E poi mi piace, l’Atomic è la mia seconda casa, non chiude mai, puoi venirci da solo e conoscere gomito a gomito.”
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