15th

Gennaio

Intervista a Natasha Slater


Nata a Parigi da genitori inglesi e italoamericani, sbocciata fra campus bostoniani, Londra e club connessi, salotti con Frances Bacon e muse, musicisti, studiosa di Belle Arti, inzia come barman del 333, club caverna della musica indie, Natasha Slater è una vulcanica sequenza di immagini, posti e notti, dischi senza etichette. Al momento si è fermata a Milano, e sue sono diventate le serate più imprevedibili e d’avanguardia, curiose e fuori dalle scene di moda, pur essendo fra le dj preferite per i dj set della fashion week.

Natasha, sei arrivata a Milano dopo un lungo peregrinare fra comunicazione, musica, riviste. Dove nasce la tua djing addiction?
“Ero a Londra nel club 333, quando ci suonavano Groove Armada e si ascoltavano i primi White Stripes, Libertines. Lì ho conosiciuto Mairead Nash, ci siamo dette che mancavano ragazze dj che seguissero la scena indie e, quando ho lasciato Londra, lei è diventata Queens of Noize. Io qui a Milano ho lavorato nella comunicazione e poi come redattrice di Rodeo, scrivevo di musica e moda. Forse perchè nel cuore sono sempre stata rebel e rock e nell’aspetto amavo l’eleganza.”

A Milano hai portato il London sound, gruppi semisconosciuti prima passavano nelle tue serate poi esplodevano.
“Ho seguito lo stile molto inglese del To make music happen. Prima con il Friday I’m in love al Goganga, poi è arrivata Radio Popolare dove Claudio Agostoni mi ha proposto carta bianca e un programma dove posso mettere quello che amo e scovo, senza limiti. A Londra ho reincontrato Alan McGee, il fondatore della serata Death Disco e lui mi ha proposto di portarla qui. Mi piace anticipare, scorpire nuova musica.”

Tu hai un’esperienza musicale maturata con viaggi, contatti e mille lavori, cosa provi quando parli di musica e la crei?
“Ho sempre seguito la musica, ma non sempre l’ho catturata direttamente, ora più che mai faccio musica, fra radio, dj set e articoli, solo mettendo i dischi e parlandone in radio l’ho fatta del tutto mia. Il mio lavoro è far divertire, ma anche far conoscere musica di qualità, scoperta fra gli emergenti all’estero, il mio speed è la curiosità. C’è molta spontaneità, metto pezzi che piaceranno, azzardo? Il mio orecchio cresce ogni giorno, cambia. Quando metto i dischi entro in un’altra zona, posso scappare dal reale. Poi non finisco mai di studiare i dj set anche tecnicamente, sono appena tornata da Londra dove ho seguito un training!”

Dov’è finita la nightlife della città, cosa senti dai locali dove suoni?
“Credo che un limite dei club qui sia la pretesa di essere sempre i primi, i più cool, il che crea una concorrenza inutile. Io non ho serate con door selection, perchè voglio che siano spontanee, senza nicchia: libertà di sperimentazione e di divertimento. Poi ci sono locali che dovrebbero cambiare e invece c’è la tendenza a fossilizzarsi. Quello che manca di più però è il culto della musica, molti dj non rispettano la musica mettendo pezzi scaricati invece di investire nell’acquisto di album. E’ egoismo sulla creatività altrui.”

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