Milano dice addio allo chef Gualtiero Marchesi, fondatore della cucina totale, impareggiabile Maestro di stile e di gusto
Milano ha detto addio a Gualtiero Marchesi, per tutti il Maestro. “Maestro impareggiabile di bravura e di stile”, scrive il governatore Roberto Maroni sui social, dove in questi giorni non si contano i pensieri di politici e di personalità del mondo della cultura. Così come non si contano i cuochi, gli amici, i milanesi, che si sono riuniti venerdì 29 dicembre nella chiesa di Santa Maria del Suffragio di Milano per dargli un ultimo saluto, sulle note di Bach eseguite dai nipoti musicisti e con le parole delle figlie e di chi, come Pietro Leeman, tra gli allievi più illustri, ha voluto rendergli omaggio.
NEL CUORE DI TUTTI
Leeman ha interpretato il pensiero di tutti gli enfant prodige dello chef, un’intera generazione di talenti, che ha instancabilmente istruito e incoraggiato, ‘nutrito’ con il suo insegnamento: Davide Oldani, Carlo Cracco, Enrico Crippa, Andrea Berton, Daniel Canzian, Paolo Priore, Ernst Knam, per citarne alcuni. “Molti dei ragazzi che sono passati dalla mia cucina sono oggi dei cuochi, degni di questo nome, capaci, in base alle proprie attitudini, di formare altre persone, altri entusiasti”.
Trasmettere il suo sapere, questo contava per lui. Come ha detto il sindaco Sala: “Maestro della cucina e padre della cultura gastronomica italiana. Una lunga carriera e la voglia di non mollare mai. Soprattutto, la volontà di insegnare ai tanti giovani chef che sono passati dai suoi ristoranti”. Ma a dirgli addio sono accorsi tutti i grandi, da Antonino Cannavacciuolo a Massimo Bottura che del Divin cuoco dice: “Ha guardato il passato in chiave critica e non nostalgica e l’ha portato nel futuro”. Oltralpe gli fa eco lo chef francese Yannick Alléno, tre stelle per il suo ristorante 1947, del lussuoso hotel Cheval Blanc, a Courchevel: “Ha portato la cucina in una nuova era attraverso la sua visione”.
Marchesi ha lasciato il segno, un segno indelebile. In Italia e oltreconfine. E oggi ci sentiamo tutti un po’ orfani, del suo esempio, del suo talento, della sua gentilezza. È stato un grande cuoco ma anche un uomo di cultura, innamorato dell’arte, della musica (grazie all’amatissima moglie Antonietta Cassisa, pianista, ndr), della vita.
Innovatore e ispiratore, intransigente e generoso, ironico, arguto, è stato dispensatore di saggezza, di una visione e di un pensiero unici, che hanno permesso alla cucina italiana di elevarsi ad arte. Il suo più grande merito resta, a mio avviso, l’aver saputo riscattare la mansione del cuoco, valorizzandolo, e l’aver plasmato l’idea stessa di alta cucina nazionale, fino ad allora subordinata a quella francese, fondando negli anni Sessanta e Settanta la nuova cucina italiana.
DENTRO E FUORI MILANO
Il Maestro si è spento a 87 anni, il giorno di Santo Stefano, nella sua casa milanese. E “Milano gli deve moltissimo”, ha scritto il sindaco Beppe Sala. La sua amata Milano, dove era nato il 19 marzo del 1930 da una famiglia di ristoratori e dove è cresciuto, vivendo pienamente. Ascoltando sempre se stesso, la sua sensibilità, il suo sentire. “Talmente determinato da sfiorare la caparbietà”, ha ricordato Leeman, forte “della chiarezza della tua visione in un mondo in rapido cambiamento, nel quale non è facile mantenere la direzione”.
La direzione che aveva con chiarezza tracciato. Era uno spirito libero, arguto e coraggioso che con la sua cucina, basata sulla materia, l’essenzialità e l’eleganza ha rivoluzionato la tradizione. Del resto “la mia strada è quella, per cui io la perseguo inesorabilmente”, afferma nel trailer di The Great Italian, film documentario sulla sua vita e sulla sua carriera, diretto da Maurizio Gigola e presentato a maggio scorso a Cannes.
A LEZIONE DI ARTE, DI STILE E DI GUSTO
Prima al Kulm di St. Moritz, poi alla scuola alberghiera di Lucerna in Svizzera (1948-1950), Gualtiero Marchesi era tornato a Milano per lavorare all’albergo Al Mercato, di proprietà dei genitori (ristoratori originari di San Zenone al Po, in provincia di Pavia). Perfezionò quindi le sue tecniche culinarie al Ledoyen di Parigi, al Le Chapeau Rouge di Digione e nel ristorante dei fratelli Troisgros, a Roanne.
Ritornò a Milano nel 1977 e inaugurò il suo ristorante Gualtiero Marchesi di via Bonvesin de la Riva: fu subito un successo, prima conquistò una stella, due nel 1979, tre nel 1986. Era il primo cuoco italiano a ottenere le tre stelle Michelin, ma vi rinunciò contestando il sistema di attribuzione dei punteggi. Nel 1993 si trasferì all’Albereta, in Franciacorta, per poi rientrare nel capoluogo lombardo e aprire Il Marchesino, all’interno del Teatro alla Scala.
Fino al 4 ottobre scorso (quando si è dimesso, ndr), rettore di Alma, la scuola di Colorno che Gualtiero Marchesi ha contribuito a fondare, nel 2004, fu il fondatore di Euro-Toques International ed era Presidente Onorario dell’Associazione Le Soste, che ne ricorda l’innata genialità creativa, lo spirito avanguardista, l’ironia e l’armonia con cui dispensava pillole di saggezza ad ogni sua apparizione. E ancora, la preziosa eredità: la “lezione Marchesi” di gusto, tecnica ed equilibrio dei valori e la vitalità intensa del Maestro, il suo incessante dedicarsi ai progetti di valorizzazione del bello e del buono.
“La cucina a cui ho sempre aspirato è la cucina della forma e della materia, la cucina intesa come cultura e come linguaggio per esprimere il meglio di sé stessi. Non basta la padronanza della tecnica, occorre anche una sensibilità per le cose belle e la curiosità per il mondo”. Instancabile fino alla fine, la scorsa estate ha fondato una Casa di riposo dei cuochi che nascerà a Varese, sul modello di quella meneghina dedicata ai musicisti e intitolata a Giuseppe Verdi.
PIATTI REALIZZATI A REGOLA D’ARTE
L’eredità che ci ha lasciato è ben sintetizzata dalla motivazione con cui nel 1998 ha ricevuto il premio Artusi: “Gualtiero Marchesi partendo dagli insegnamenti e valori della cucina classica italiana – libero da pregiudizi e schemi antiquati – attraverso una costante e continua ricerca e sperimentazione, ha elaborato una cucina creativa, fantasiosa, fresca, leggera, essenziale, solare, raffinata che presta estrema attenzione ai prodotti, ai sistemi di cottura, alla dietologia, all’evoluzione del gusto.
I piatti ricchi di accostamenti cromatici, fonte di mille emozioni e sensazioni, privi di inutili barocchismi, diventano sintesi della sua poliedrica sensibilità artistica. Con la sua opera ha svolto un fondamentale ruolo di catalizzatore e stimolo nella innovazione e modernizzazione della ristorazione italiana”. I suoi piatti? Capolavori realizzati a regola d’arte, che fanno parte ormai della storia della cucina italiana: il Risotto oro e zafferano, che risale al 1981, e il Raviolo Aperto, dell’anno successivo. Ma poi tanti altri: il Dripping di pesce (2004), ispirato a Jackson Pollock e Quattro Paste, ispirato a Andy Warhol, Il Rosso e il Nero, Seppia in Nero, Costoletta di vitello alla milanese.
“Generoso, indagatore, un artista”, per Alain Ducasse, Marchesi resterà l’icona di un tempo, Maestro di gusto e di stile, sì, ma in primis un insostituibile Maestro di vita. Per questo non ti dimenticheremo mai. E…“Grazie per sempre”, come ha detto Leeman.