Dei tre “fratellini” Styles, Guido è la mente e il cuore. Stiamo parlando naturalmente dell’italianissima formazione The Styles, che da qualche anno si diverte a spermentari i ritmi punk rock molto brit-style(s). Nato in quel di Erba (Como), il trio (Guido, voce e chitarra, Luke alla batteria e Steve alla chitarra) è reduce da un’estate in giro per l’Italia al seguito dei Babyshambles, di Vasco Rossi e di concerti “in proprio”. Abbiamo raggiunto telefonicamente Guido in sala prove, nonostante il terribile mal di gola, per parlare del loro primo disco, dal titolo giusto un po’ subliminale: You love The Styles.
Si dice abbiate dovuto selezionare i pezzi da includere nel vostro album tra i150 che hai scritto, qual è stato il criterio di scelta?
“Semplicissimo: in due anni di live abbiamo messo a punto una scaletta che funzionava molto bene, che è poi stata ripresa così com’era dal disco. La gente ai nostri concerti ci fa i complimenti perchè abbiamo seguito l’ordine delle tracce del cd, e invece no, è proprio il contrario! Comunque abbiamo scelto di far sentire la nostra musica più furiosa.”
La durata dell’album permette di ascoltarlo anche in macchina per un viaggio breve. Voi coss ascoltate quando girate da una città all’altra in tour?
“Non ascoltiamo tanta musica in viaggio, anzi la musica non ci piace neanche poi tanto, già ne facciamo tutto il giorno! Scherzi a parte, ascoltiamo spesso i demo che ci lasciano altre band, divertendoci poi a insultarle.”
L’album contiene, oltre a Glitter Hits, che è il pezzo più noto, NY Wilkommen Terrorist, si può dire che sia stato un rischio inserire un brano con tema l’11 settembre?
“Si tratta semplicemente di una canzone d’amore mai raccontata tra un terrorista e una passeggera di un aereo. Fin dall’antica Grecia si raccontano storie d’amore legate alle più grandi tragedie, basti pensare all’Ifigenia di Euripide. Non sarebbe giusto che una tragedia come l’11 settembre fagocitasse la possibilità di scrivere storie d’amore legate a quell’evento. E poi io volevo solo raccontare una storia.”
Adesso parliamo un po’ del gruppo: la composizione dei The Styles è sempre stata la stessa nel corso degli anni?
“Per niente: la band è sempre stata molto mutevole negli anni. Ci siamo stabilizzati nel 2005, ma ci saranno stati almeno 15 ragazzi che per un motivo o per l’altro si sono avvicendati. Chi perchè non si sentiva pronto per fare musica da professionista, chi perchè non sopportava il mio brutto carattere… Comunque adesso i The Styles siamo io, Luke e Steve, spero dureremo in eterno!”
Siete una formazione composta solo da voce, chitarre e batteria, mai pensato di far spazio a un bassista?
“Innanzitutto era molto difficile trovare qualcun altro che si chiamasse Styles di cognome, poi mi sembrava che un trio fosse molto più facile da ricordare, e poi, avete mai visto un amplificatore per un basso? Troppo pesante da portare…”
Con quale obbiettivo sono nati i The Styles?
“Quello di riempire un buco che c’è nella musica italiana, anche nel pop mancava un gruppo che cantasse in inglese e che fosse esportabile. Io ho cominciato nel 1999 come batterista, ho suonato in diverse band che però non facevano per me, così alla fine mi sono creato il mio gruppo.”
Quando tu o gli altri componenti del gruppo venite a Milano, dove andate se volete ascoltare un buon gruppo?
“Dal punto di vista musicale, Milano fa schifo. Ma abbiamo fatto una bella scoperta con il Rock’N Roll in zona Stazione Centrale.
Siamo nel terzo millennio, le arti si evolvono e i generi si sviluppano, contaminandosi, toccandosi, prestandosi vicendevolmente la materia di cui sono fatti. Così capita che tre ragazzi di Erba suonino dell’ottimo punk rock in “british sauce” e che l’esigenza che li muove, alla fine, sia quella di sempre: raccontare una storia.
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