Cos’è più importante scrivere in una biografia? Che ha lavorato con Cocciante e Baglioni o che sua madre era operaia a catena in un sottosuolo di Firenze? Che ha un diploma in pianoforte al Cherubini o che suo padre era camionista, pittore e onesto? Che ha inciso 3 Cd o che la musica la assale e le si attacca addosso? E’ più importante quello che ha sentito che quello che ha fatto; quello che ha visto e altre persone privilegiate non hanno mai conosciuto né mai sapranno vedere. Ci vuole troppa sensibilità per vedere il fondo del pozzo dalla cima di una stella. Oggi, dopo il suo percorso musicale e di vita, Susanna Parigi pensa che non c’è altro per cui valga veramente la pena se non chiedersi in continuazione e in continuazione, quasi maniacalmente “Perchè?”. E’ questo che l’ha portata a scrivere In differenze il suo terzo album. Di una energia speciale, lei è semplicemente Susanna… scopritela!
Susanna, cosa ha influenzato la tua arte? Ricordo che in una tua precedente intervista mi avevi parlato degli insegnamenti di tuo padre…
“Mio padre mi ha insegnato che le mani sporche sono mani bellissime perché sono mani che lavorano… tutto questo ultimo mio progetto è dedicato a lui. Sicuramente il fatto che fosse pittore mi ha avvicinato all’arte fin da piccola, ma la decisione di entrare in Conservatorio è stata mia. Troppe sono le cose che possono avermi influenzato nel mio percorso di musicista, sicuramente anche la letteratura, la pittura e il teatro.
Parlaci della tua collaborazione col filosofo Umberto Galimberti.
“Forse quello che più ci accomuna è una certa coerenza. Io faccio delle scelte abbastanza pesanti quando decido di parlare chiaro e schierarmi e così raramente vedrai Galimberti giullare delle corti mediatiche. In questo spettacolo che registriamo in Dvd il 7 ottobre al Teatro dell’Arte ho scritto i monologhi insieme a lui. Il filo conduttore è l’indifferenza come abitudine e assuefazione a tutto e la differenza invece, come modo di vedere le cose da un’altra angolazione.”
Secondo te, qual è il male peggiore dei nostri tempi? E cosa potrebbe fare ognuno di noi per cambiare?
“Forse l’ho accennato poco sopra, ma una delle cose che più detesto è la passività. In tutte le sue forme; dal privato al sociale. Qualcuno dice che non ci vuole molto per essere brutti, basta essere passivi. Accettare tutto, qualsiasi offesa non solo fatta agli altri, ma anche a te stesso. Le persone potrebbero fare moltissimo. Pochi conoscono il potere che hanno e anzi pensano che non possono fare niente per cambiare le cose; invece, come fanno presente anche Medici Senza Frontiere che saranno con me il 7 ottobre, i grandi cambiamenti avvengono sempre quando c’è una forte consapevolezza dal basso. Per cominciare a cambiare la prima cosa da fare è cominciare a porsi domande. Come fanno i bambini. DOMANDARSI tutto! Perchémi dicono questo? Perché mi danno questa notizia in questo modo? Perché abbiamo una televisione che dovrebbe farci indignare? Un altro passo avanti sarebbe cercare di capire meglio il mondo che ci circonda e cercare fonti di informazione alternative rispetto ai media ufficiali. Questo sicuramente richiede fatica e impegno, ma l’unico modo che io conosca per cambiare, è partire da me stessa.”
Ci racconti qualcosa in più sulla canzone Amada, di una forza estrema, forse anche eccessiva per essere contenuta tutta in un corpo umano?
“Tempo fa lessi il racconto di una scrittrice sudamericana che mi commosse. Scriveva di una ragazza che il giorno dopo si sposa e la sera precedente al matrimonio, si scioglie i capelli, si spoglia, esce di corsa di casa e si dedica questa ultima notte facendo l’amore con tutta la natura.”
E cosa ci dici a proposito della collaborazione con Salgado?
“Credo che Salgado sia uno dei più grandi fotografi del mondo. Le sue foto che compariranno al posto d’onore nel mio spettacolo sottolineano meglio di qualsiasi parola il senso di tutto il progetto. Sa trovare la bellezza nelle zone più degradate del pianeta e una poesia sotterrata che non può lasciare indifferenti. Io credo che sia impossibile guardare queste foto e rimanere quelli che eravamo.”
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