Battesimo in questi giorni al CRT, Centro di Ricerca per il Teatro, per la nuova rivista Cenalora – Carte di navigazione teatrale. La rivista vuole essere un luogo di incontro e relazione attorno agli urgenti temi della scena contemporanea, oltre ad essere la voce del CRT tra appuntamenti, artisti, passato e futuro di una storica istituzione che sta necessariamente riflettendo sulla propria identità.Abbiamo incontrato il direttore Roberto Caielli.
Direttore, perché questo titolo così intrigante?
“Cenalora é il canto con cui gli indiani Andamane della terra del Fuoco, pescatori e navigatori, accompagnavano la danza della Cenalora, ovvero la rappresentazione della canoa che beccheggia sulle onde da parte di uomini e donne intrecciati tra di loro. E’ l’espressione di un teatro primitivo determinato da una necessità, da un bisogno mimetico, rituale e coesivo del gruppo. Lo spirito della rivista é proprio, metaforicamente, uno stringersi attorno al desiderio di comunanza da parte di un gruppo di persone che troppo spesso si é sentito solo rispetto al teatro contemporaneo, che non ne vede i lumi quando alimentati da vanità, che vuole analizzare i comportamenti in senso storico-politico e per i quali il teatro é naturalmente una questione d’amore, una necessità”.
Che ruolo vuole avere questa rivista nella ricerca teatrale contemporanea?
“La rivista é essenzialmente l’house organ del CRT. Suo primo obiettivo é focalizzare storia, eventi e dibattiti attorno a questa istituzione storica del teatro in Milano e in Italia. La particolare impaginazione di Cenalora consente peraltro di aprire il confronto a temi più ampi e raccogliere contributi esterni che si collocano nello spirito del magazine: non critica agli spettacoli, non recensioni, ma modesti
contributi alla definizione o ridefinizione del significato di ricerca, con la consapevolezza dei tremendi limiti della scena attuale”.
Quali obiettivi deve avere una rivista di settore oggi per fare centro nel cuore del pubbllico?
“Una rivista di settore non deve fare centro nel cuore del pubblico, almeno Cenalora non ha velleità d’eros o d’arciere! Il teatro deve far affluire sangue al proprio cuore, capire il come e il quando di una centralità fisiologica, poiché i metodi, i tempi e le emozioni del teatro sono altro rispetto ad una fiction televisiva, a un film, a un reality. La rivista non é la performance, il critico non é il regista o l’attore. Cenalora raccoglie i panni, sporchi o puliti che siano, e li
stende un po’ alla finestra. E vediamo cosa succede”.
Quale direzione può o deve trovare il teatro per sopravvivere alla crisi incombente?
“Credo che il primo problema del teatro contemporaneo, che vive di
fatto una sfasatura temporale di qualcosa che é stato e che ancora non
sa cosa sta per diventare, sia quello della definizione di un linguaggio, autonomo rispetto ai media catodici, pervasivo, un linguaggio che, come sosteneva Heidegger, sia profondamente in cammino con le esperienze e con le trasformazioni. I modelli sono dentro e fuori il teatro, andare a rileggersi Joyce e the Finnegan’s wake, e Mallarmé e perché un tratto di dadi non abolirà mai il caso, capire cosa é morto con Carmelo Bene, superare il mito degli anni 60 e delle sue utopie performative, vedere politicamente oltre i drammi dei tagli ai fondi e
risvegliarsi più soli, più poveri forse, ma necessariamente pervasi da un bisogno di comunicare in itinere, e consapevolmente in cammino verso il linguaggio”.
Qualche anticipazione sui prossimi numeri?
“Il prossimo numero sarà dedicato proprio al rapporto tra scena e
linguaggio, scena e scrittura. Parallelamente agli spettacoli che saranno in cartellone al CRT e che daranno spunti al tema, Cenalora ospiterà contributi di quei poeti e scrittori (come Jack Hirschman, il grande e già mitico poeta californiano) la cui esperienza rincorre l’esigenza di una profonda ricerca sul senso del linguaggio”.
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