Il faraone del rock italiano è tornato a San Siro. Ormai si sa: Vasco è l’unico a riempire uno stadio in un batter baleno. E qui non si tratta di mettere più generazioni a confronto, perché negli ultimi anni i suoi live sono applauditi soprattutto da ragazzotti, che neanche erano nati quando per radio si sentiva La nostra relazione. C’è ancora luce a Milano quando sale sul mega palco. L’attacco è sui pezzi nuovi scalciando tra Sei pazza di me e Starò meglio di così. “Dedico questo concerto a mio figlio Luca, che oggi compie vent’anni”, esordisce il Blasco prima di immergersi in due ore e mezza di musica, in cui latita nei confronti del passato. C’è troppo del nuovo album, c’è poco del vecchio, del rock grezzo di provincia che lo ha reso il vero dissacratore degli anni ’80: allora con il nome di Vasco Rossi riuscì a svestire gli anni del riflusso da quel fasullo scintillio della consistenza.
VIVERE O NIENTE – In questo tour, Vivere o niente per l’appunto, non ci sono bilanci, non ci sono compromessi con la nostalgia, ma c’è l’occhio sul presente e quei raggi laser che impazzano a destra e sinistra degli spalti di San Siro accompagnano questa vena polemica insistente. Nonostante uno striscione reciti “Vasco, santo subito!”, il suo monologo sbanda troppo e questa eccessiva loquacità spezza la magia della prima parte. Va bene che “nella vita bisogna fare delle scelte”, va bene che “sbagliando si impara”, va più che bene che “la libertà va difesa”, ma forse sembra stralunato sentirsi sbattere in faccia che “la droga non è un fenomeno sociale” o trovare la scappatella per liquidare le follie del sabato sera come “disgrazie” . Parte del pubblico perde il filo e fischia, dimostrando che il popolo del Blasco sa essere pure dissidente quando il musicista vuole prendere in prestito una faccia che non gli appartiene. Di santoni e profeti in Italia ne abbiamo fin troppi.
OGNUNO PERSO NEL SUO FACEBOOK – Poi Vasco torna ad essere il rocker di Zocca, gioca col sax che lo accompagna e il pezzo E già la dice tutta sul resto della storia, anche quando si diverte sul medley dance capeggiato da Rewind e Ti prendo e ti porto via, facendo saltellare tutti col sound di Delusa. C’è poca intimità e l’unico soliloquio è verso il finale con una chitarra acustica che sgattaiola tra Sally e Ogni Volta. Nel bis c’è a malapena un posto per Un senso e il passato remoto scivola sul manifesto di una generazione, un accenno a Vita spericolata con un piccolo verso lasciato nelle mani dell’attualità: “Ognuno perso nel suo Facebook”. Finale corale e rituale con Albachiara, ma questa volta niente bagno di coriandoli, niente fuochi pirotecnici. Il Vasco di questo tour è meno “spericolato del solito”, ma ad un passo dai 60 anni resta il faraone del nostro rock, quello cantato in italiano. E piace ancora.