C’è chi vive la quarantena lontano dagli affetti. Come superare il senso di nostalgia ancora più accentuato in questo periodo? E poi il mondo dei Social: flashmob, foto, attività live su Instagram, tutto è frenetico e documentato. È giusto insistere con la “compagnia digitale”? Non rovina i rapporti umani? Le risposte della psicologa a Milanodabere.it
Se c’è un sentimento che domina le nostre giornate ai tempi del Coronavirus è proprio la nostalgia. Una parola greca che significa “dolore del ritorno” e che si riferisce alla tristezza che proviamo per la lontananza delle persone che amiamo o di luoghi che abbiamo nel cuore. Un ripianto doloroso, e insieme sereno, per l’effetto buono del loro ricordo.
Oggi viviamo un senso di nostalgia verso la normalità. Nostalgia per l’abbraccio dei nostri famigliari, per il bacio dei nostri compagni che lavorano lontano e che non possono rientrare. Per la carezza di un figlio, per la sberletta scherzosa di un amico o per il 5 battuto ai nostri fratelli. In questo frangente, tuttavia, le nuove tecnologie, i Social Media in particolare, hanno però assunto un ruolo fondamentale nell’avvicinare le persone, riducendo quel senso di isolamento e solitudine.
Molte famiglie hanno potuto vivere e condividere momenti insieme, con la consapevolezza di essere protetti e di proteggere le persone che amano.
Quindi ben vengano i flashmob, la condivisione di foto, le attività live su Instagram. La cosiddetta “compagnia digitale” che, se da un lato rischia di modificare e raffreddare un po’ i rapporti umani, in questa temporanea situazione di distacco accorcia le distanze, crea condivisione.
Risveglia il piacere di vedersi, di raccontarsi la giornata, di tornare a dialogare. Stimola, ancora, la voglia di gridare all’unisono “andrà tutto bene”, così da sentirsi tutti più uniti, collegati da una rete di speranza, nonché di concedersi un momento di leggerezza e spensieratezza.
Dottoressa (e neomamma): quando finirà tutto questo?
In questo periodo è necessario mantenere calma e lucidità. Mi piace pensare che si tratti di un periodo circoscritto, che piano piano le cose miglioreranno, che ogni giorno che passa è un giorno in meno che ci vede costretti a casa. Il trucco sta nell’autoconsapevolezza e nella giusta direzione del libero arbitrio, che ci offre la possibilità di scegliere di focalizzare la nostra attenzione su pensieri positivi.
Questa esperienza collettiva ci mette di fronte alle nostre fragilità, alla paura per la propria salute e per quella dei nostri cari, alla paura della morte, ma è proprio in situazioni estreme come questa che ci è richiesto di essere resilienti. La vita riprenderà, e con essa tutte le nostre normali attività, i ritmi frenetici di sempre, le lamentele e il desiderio di essere altrove, proprio come ora.
Come mamma di un neonato rifletto sul senso della vita, su quanto questo mondo stia a poco a poco
regredendo invece che evolversi. Tutto questo finirà, sì, non con la fine della pandemia, ma solo
quando saremo davvero in grado di rimettere al primo posto la vita.
Della dottoressa Federica Valle leggi anche:
Emergenza sanitaria, come affrontarla e come spiegarla a un bambino
Quel difficile obbligo di stare a casa, come rispettarlo