Scuole e università chiuse, musei riaperti con misure restrittive. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha previsto anche la discussa chiusura dei teatri. Gli spettacoli e la cultura, aspetti così vivi di Milano, sono messi, dunque, in ginocchio. Ne abbiamo parlato con gli addetti ai lavori
Questo spettacolo non s’ha da fare. La chiusura dei teatri di questi giorni è uno degli aspetti più discussi circa le misure preventive legate all’emergenza sanitaria. Molti addetti ai lavori si sono dati da fare proponendo nobili soluzioni in streaming, in cui, però, si è sentita fortemente la mancanza dell’applauso dalla platea. Ne abbiamo parlato con Tobia Rossi, giovane e apprezzato drammaturgo milanese (curerà lui la drammaturgia di Sono solo nella stanza accanto, con la Compagnia Caterpillar, a giugno all’Elfo Puccini).
Tobia, l’emergenza sanitaria ha portato a una serie di misure di sicurezza da rispettare, tra queste la chiusura dei teatri…
Al di là dell’esprimersi sull’efficacia di queste misure di sicurezza, che bisogna rispettare, si può trovare senz’altro un compromesso. Un modo per evitare la chiusura dei teatri e delle attività teatrali. Si potrebbe valutare caso per caso. Trovare il modo di rimanere compatibili con queste misure di sicurezza sanitaria, sicuramente, ma allo stesso tempo tenere i teatri aperti e quindi gli spettacoli. Lavorando, magari, sulle distanze minime tra gli spettatori.
Resta il fatto, però, che i teatri in questo periodo sono chiusi. Nel frattempo?
Ben vengano le iniziative di attori e di artisti che propongono una serie di attività online. Mi viene in mente l’idea della regista Elisabetta Carosio, ha creato una sorta di Decameron per il web. Chiedendo dunque agli attori di partecipare e di raccontare storie in diretta Facebook. Un sistema bellissimo, ovvio che non sarà mai un surrogato dell’evento teatrale che ha a che fare con l’incontro fra esseri umani, con l’esposizione dei corpi, con la messa in campo di fragilità e di bellezza. Non può essere un sostituto ma può essere un’occasione per far sentire che c’è una comunità presente, viva e forte anche in un momento simile.
Qual è il messaggio più importante da far passare in questo momento?
Il governo si deve interessare rispetto alla crisi economica del settore e ha il dovere di intervenire nei confronti dei settori in crisi che vengono danneggiati da esperienze del genere. Come il teatro e lo spettacolo in generale: realtà duramente colpite da questa situazione.
È necessario che in un paese civile un governo si prenda l’incarico dei settori più fragili nei momenti di maggiore fragilità. Il nostro non è un mercato particolarmente ricco e forte già di suo, a maggior ragione, in un momento simile, rischia davvero di avere un colpo di grazia che non si merita. L’intervento istituzionale è fondamentale.
La cultura in generale, in questo caso il teatro, potrebbe aiutare psicologicamente, in qualche modo, la società così impaurita?
Certo. Il teatro può aiutare la società, è per questo che si ha bisogno del teatro, del cinema, della cultura. Il teatro è abituato ad attraversare i conflitti del presente, quindi le paure, le inquietudini, le ombre, le contraddizioni. Non darà le soluzioni per affrontarle però conduce la gente a ragionare con la propria testa e soprattutto mette le persone davanti alla complessità del reale, complessità in senso buono.
In che senso?
Il reale è complesso, non c’è “bianco o nero”, non esiste solo l’allarme rosso secondo il quale “moriremo tutti” contrapposto solo al “ma sì, freghiamocene, stiamo esagerando”. Sono le due tendenze di un fenomeno come questo della diffusione del virus. C’è una complessità di eventi e il teatro aiuta il cittadino a diventare capace di assumere consapevolezza rispetto al fatto che la vita è fatta di tante cose e rispetto al volerle considerare tutte.