Lo ‘Zucca’, gli scorci nascosti, Dario Comini e il Bar Basso: Yuri Gelmini elenca i plus milanesi che lo hanno spinto a diventare barman
Yuri Gelmini non nasconde il suo profondo amore che lo lega a Milano, dove è nato 35 anni fa. Anzi lo rivendica con orgoglio. Per lui questa città è passione, storia, innovazione, drink e anche musica. ‘’Da anni, per tradizione, insieme a un gruppo di amici, ci diamo appuntamento in un locale che ci ospita e, nel giorno di Sant’Ambrogio, intoniamo canzoni in milanese’’.
E poi c’è la Milano da bere che lo ha fatto infatuare della miscelazione, tanto da fare del bartender il suo lavoro. O meglio, il su’ mesté. Ogni giorno lo troviamo alle prese con ricette che cambiano in continuazione e che fanno del suo locale, il Surfer’s Den in Piazza Caduti del Lavoro, uno dei cocktail bar di Zona Ticinese tra i più apprezzati dagli amanti di mixability. La sua esperienza professionale è, quindi, molto ancorata a Milano. Tutto ha avuto inizio in Piazza Duomo…
Yuri, qual è il cocktail che identifichi con Milano?
“Quello che emerge dalla mia memoria, ossia lo ‘Zucca’ che preparavano al Bar Zucca che oggi è tornato a chiamarsi Il Camparino. Lo assaggiai poco più che maggiorenne, mi piacque fin dal primo sorso. Il sapore del rabarbaro che si amalgama con il selz…Un drink che associo al Duomo e alla sua Piazza, ma anche alla nebbia milanese che avvolge la città. Tornando al drink, ricordo ora di possedere ancora i bicchieri a forma di coppa dove si versava il drink e con alla base scritto ‘Zucca in galleria’”.
Mentre invece la tua ricetta di drink dedicata alla città?
“Non può che rispecchiare quanto detto in precedenza. Si tratta di un cocktail che ho chiamato ‘L’era el so mesté’. Lo preparo con Rabarbaro Zucca (3,5 cl), bitter Campari (3,5 cl), Fernet Branca (1cl). Vigoroso shake and strain prima di versare il tutto in una coppetta cocktail, guarnendo con una scorza di arancia”.
Il locale che ti ha folgorato sulla strada del bancone?
“Uno su tutti: il Nottingham Forest, un luogo dove il suo artefice, Dario Comini, mi ha mostrato a metà degli anni Novanta, come il mondo cocktail fosse diverso da quello che uno s’immaginava. Denso di cultura e studio degli ingredienti. C’è però anche un secondo posto a Milano che amo molto. Mi riferisco allo storico Bar Basso, forse l’unico che ha saputo attraversare i decenni senza mai modificare la sua anima di bar dove andare a bere un drink in modo consapevole e mai becero. I due posti hanno contribuito a nobilitare il mondo cocktail e il ruolo stesso del barman”.
Ma secondo te Milano è oggi una delle capitali mondiali della miscelazione?
“È senza ombra di dubbio la città italiana che ha maggiore risonanza nel settore della mixology, così come è un laboratorio per lanciare nuove tendenze di consumo. Detto questo però, deve fare riflettere il fatto che nessun locale milanese è annoverato nella classifica della World’s 50 Best Bars. Forse dovremmo essere meno modesti e farci valere di più in ambito internazionale. Non è possibile che alcuni spirit o liquori italiani siano stati rilanciati con successo da locali all’estero e non da noi. Forse è il caso di cominciare a prendere esempio dalla ristorazione che dentro i confini nazionali spopola e s’impone agli occhi di tutto il mondo”.
Torniamo nell’amata Milano: c’è un quartiere che più di altri ti affascina e, magari, ti ha dato spunti per realizzare alcuni tuoi drink?
“Più che quartiere, parlerei di scorci. I piccoli angoli spesso nascosti, ricchi di storia e tradizione, dove un tempo nascevano le professioni artigianali. E poi il passato che riaffiora, le case antiche, chiese, basiliche e monasteri… Non vedo l’ora di visitare la Biblioteca degli Alberi che sarà inaugurata il 27 ottobre. Inizio già a pensare a quale cocktail dedicarle io che sono un amante incontenibile del mondo botanico e floreale, che spesso si ritrova nei miei cocktail”.
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