Corrado D’Elia ci ha abituati alle sue geniali riletture di testi teatrali di ogni autore e di ogni epoca.
Quello che del suo lavoro, però più attira il critico, almeno quello con le mie caratteristiche, è la capacità, pur nel testo più conosciuto, pur nel testo, talmente tante volte rappresentato, da diventare luogo comune (anche se nel senso più nobile del termine), quello che di lui mi piace, dicevo, è la capacità di sorprendere, di trovare, dove tanti altri hanno scavato prima, una nuova vena aurifera e di presentare uno sconosciuto tesoro, per i più inaspettato.
“Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo…” lo sanno le pietre, i deficienti che imbrattano ogni anno il cortile della casa di Giulietta con le loro inutili firme, lo si trova nei baci Perugina e ogni innamorato sedicenne avrà sperato di sentirselo dire dalla sua cotta di turno.
Quindi ci dovremmo aspettare l’ennesima riedizione del “drammone” d’amore, dello stilizzato e archetipico “amore impossibile”, ebbene no!
D’Elia, nel suo teatro tascabile, racconta una storia che potrebbe benissimo consumarsi nel cesso dell’ultima discoteca di provincia, tra una pasticca di ecstasy e una bravata, la racconta lì, in quella terra di nessuno, del divenire o del morire per una “cazzata”, dove corrono i ragazzi l’età breve della giovinezza e la fa raccontare a loro. Infatti, dei quattro adulti che si muovono in scena, solo due lo sono veramente: la balia e Frate Lorenzo e, questi, raccontano loro stessi, perché gli unici adulti che i ragazzi accettano sono quelli che non li crescono nei sensi di colpa, ma li amano per quello che sono, mentre gli altri due: i genitori di Giulietta, sono interpretati e narrati da due ragazzi, perché agli occhi di un adolescente, un padre o una madre sembrano dei bambini immaturi ed egoisti, dei pazzi incomprensibili e irrimediabilmente chiusi nel loro narcisismo decadente.
Perfetti tutti gli attori in ogni ruolo, dire di aver scoperto dei nuovi talenti, ed avuto conferme parrebbe scontato, ma la macchina scenica di carne umana e sentimenti ideata dal regista si muove, grazie a questi interpreti, con la forza di un pezzo dei Nirvana.
E Shakespeare mi direte? Ma signori, che domande, era lì in platea ad applaudire con noi!
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