Il Museo Belvedere di Vienna si affaccia su uno specchio d’acqua suggestivo, ma
artificiale. Villa Olmo ha di fronte il verde dell’elegante giardino e il blu del
lago di Como. Fatte le debite proporzioni, i capolavori custoditi nel museo
austriaco non soffriranno del soggiorno italiano in siffatta, splendida,
atmosfera.
Qui, Le luci rarefatte, gli stucchi, le dorature e gli affreschi neoclassici sono
i “compagni di sala” di 80 dipinti (e tre sculture) della storia dell’arte moderna
austriaca. L’abbraccio di Vienna è il titolo della mostra: perchè sì, il pezzo
forte è il carnalissimo, omonimo quadro di Egon Schiele, e poi perchè – aiutati
dall’intimità di tale raffinata scenografia – le opere finscono con l’avvolgere il
visitatore nell’aria decadente e maliziosa viennese. Si comincia dal Barocco e i
volti irriverenti di Franz Masserschmidt. Via via che gli anni passano sottoforma
di quadri, la sensualità si intimidisce meno e così voilà la Donna addormentata di
Johanne Baptiste Reiter. La pelle rosea, le lenzuola candide, forse la bela
fanciulla non è sprofondata nel sonno.
Seguono, tra gli altri, il ritratto della imperatrice____ , austera e poco
intenzionata a scaldare il sangue nelle vene. L’uomo solitario e ripiegato su se
stesso di ____ creato con pennellate brevi e sottili, si intravede l’angoscia che
esploderà con Schiele. Ma prima, largo ai Secessionisti e dunque a Klimt. I lilla
del Castello di Kammer sul Lago Atter abbagliano, come pure i riflessi lacustri:
come non pensare alle rive lacustri a pochi metri di distanza da Villa Olmo? Si
gode del pallore di Johanna Staude e poi la curiosità non si contiene. Gli occhi
scivolano verso il Ritratto del dottor Hugo Koller, risucchiato tra i libri nel
suo bel completo velluto dal gioco prospettico del suo autore, Schiele.
L’abbraccio avvolge in una pericolosa morsa di possesso più che di passione, due
amanti, mentre balugina una disperata follia negli sguardi di _________ e_______ .
Kokoschka tira su il morale con la vivacità della grande tela ________. La potenza
dell’angoscia, di una forza che arriva forse nell’aver guardato giù nel fondo
dell’animo umano, trova pieno spazio nel Tigone.
Si voltano le spalle ai quadri e pare che il tempo sia passato troppo in fretta.
Ancora un altro giro. Come sulle giostre. I ritratti, i paesaggi di Klimt, dei
suoi discepoli sembrano eseguiti attraverso un velo, l’effetto finale è una
bellezza sfuggente, come certe fotografie in seppia di un passato lontano,
desiderabile. Verrebbe voglia di oltrpassare quel telo e trovare al di là non il
lagon di Como che fuori attende increspato, forse lo specchio d’acqua di Vienna.
Annus Domini 1917.