17th

Giugno

Superman: ottant’anni e non sentirli

Come riuscire ad arginare il predominio della Marvel al cinema? È la frequente domanda che si sta ponendo la DC Comics per contrastare il recente successo di SpiderMan, X-Men e del mondo Avengers. Soprattutto dopo la superba, ma ormai conclusa, trilogia su Batman e il flop di Green Lantern. La risposta potrebbe essere proprio nel personaggio di punta della DC, il supereroe per antonomasia creato da Jerry Siegel e Joe Shusternel 1932: Superman, l'uomo d'acciaio. 

OTTIMI INGREDIENTI… – In Man of Steel, gli ingredienti per un perfetto cinecomics sembrerebbero esserci tutti. Alla regia, il visionario Zack Snyder (300 e Watchmen), abile nel mixare roboanti effetti speciali con scene più commoventi. La macchina di distruzione aliena del generale Zod (il Michael Shannon di Revolutionary Road) in azione ne è un esempio ed è tra i momenti migliori della pellicola. La sceneggiatura a flashback della fortunata coppia Nolan-Goyer (Batman Begins), incentrata sulle scelte che deve compiere il giovane Clark Kent/Kal-El (umano o kriptoniano, anonimo o “super”), è attraente, sebbene ad alto rischio noia. Affascinante a tal proposito lo “scontro” virtuale sui valori da seguire dai due padri delle differenti razze, interpretati da Kevin Costner e Russel Crowe. Le sempre eccellenti musiche di Hans Zimmer e il mega cast con un indovinato Henry Cavill (Immortals) nei panni del protagonista completano un quadro più che promettente. In pratica lo sfortunato Superman Returns, datato 2006 e firmato Brian Singer, appare soltanto come un brutto ricordo.

… MA RISULTATO INCERTO – Eppure alla fine qualcosa sembra non tornare. I momenti di stasi sono troppi e alcuni ruoli sono alquanto sprecati, come quelli di Amy Adams (la giornalista Lois Lane) e di Laurence Fishburne (il caporedattore Perry White). Se poi aggiungiamo che nella prima parte del film, ogni volta che si vede Clark Kent, piccolo o grande che sia, c'è una sventura o una calamità naturale nei paraggi, beh, questo superpotere si potrebbe tranquillamente chiamare sfiga. Succede così che la poesia squisitamente vintage degli anni Ottanta e l'interpretazione di Christopher Reeve vincano sulla tecnologia 2.0. Da vedere per aggiornamento nerdiano.

In sala dal 20 giugno.

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