Immaginate un uomo che ha sempre condotto una vita onesta e morigerata, rimasto vedovo presto e con una figlia piccola.
Un uomo legato al ricordo della moglie con una devozione incrollabile.
Un uomo che ha lasciato sua figlia alle cure del suo più caro amico – stimato senatore nonché scienziato – quando il cordoglio gli impediva di essere un buon padre e quando l’inferiorità di mezzi e d’importanza poteva essere d’intralcio alla fortuna della ragazza.
Un uomo che si è fatto da parte, contemplando la giostra che si muoveva intorno a lui, rispettandone l’andamento e le regole, anche quando si accaniva feroce e spietata contro di lui.
Anche quando la sua stessa figlia lo guardava con scherno, rinfacciandogli la sua fervente devozione con inspiegabile rancore.
Ecco, tutto questo era già stato immaginato da Luigi Pirandello ottant’anni fa, quando scrisse “Tutto per bene”, novella che oggi torna alla ribalta del Teatro Franco Parenti, magistralmente interpretata da Gianrico Tedeschi.
“Tedeschi è un attore di oggi, e lo è da 55 anni”, come sostiene il regista Jurij Ferrini, e veste i panni di Martino Lori, che nel giro di tre atti passa da un candore che rasenta l’ingenuità alla più rabbiosa delle consapevolezze.
Ecco che quell’uomo scopre di essere stato devoto per vent’anni ad una donna che lo ha tradito, ad una figlia che non è la sua, ad un amico che la lealtà non sa nemmeno dove stia di casa.
Ed elabora il lutto di questo triplice dolore davanti ai nostri occhi, su un palcoscenico essenziale ma esaustivo, su cui Tedeschi si muove con inquietudine, a dispetto dei suoi ottantatre anni che in scena non compaiono mai, di cui non si vede traccia nell’energia, nel tono di voce, nello sguardo.
La sua carriera iniziò in un campo di concentramento vicino a Varsavia, dove intratteneva i compagni di lager interpretando “Enrico IV” di Pirandello, un autore che, evidentemente, non ha smesso di stargli a cuore e di fornirgli, a distanza di decenni, sempre nuovi spunti.
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