Sabato, domenica e lunedì di Eduardo De Filippo è una chiave di volta nel percorso di scrittura e messa in scena del drammaturgo napoletano. Il primo motivo sta nell’anno di allestimento, il 1959 alla vigilia del boom economico del nostro paese. Il secondo motivo è strettamente narrativo perché attorno al sacrosanto rituale del ragù si snocciola uno spaccato di vita di una famiglia piccolo borghese, dove si intravedono in filigrana alcuni temi sociali da non sottovalutare come l’emancipazione della donna o i cambiamenti del mondo del lavoro.
I nuovi desideri e le nuove mode invadono anche casa Priore. Così basta un velato desiderio messo al posto sbagliato e una piccola ventata di gelosia a mettere in crisi una coppia apparentemente collaudata come quella di Rosa (Anna Bonaiuto) e Peppino (Toni Servillo).
Nel giorno del sabato, che precede “il dì di festa” nel pieno significato leopardiano, c’è la preparazione. Del resto, “cosa sarebbe la domenica senza il ragù?”. Mentre si diffondono i profumi della pietanza sacrale, vengono tracciati i profili dei protagonisti, che si svelano nel giorno della domenica, attorno ad un tavolo, nel rituale pranzo domenicale. Scoppia il micro dramma famigliare tra Peppino e Rosa Priore, mentre gli altri stanno a guardare come degli spettatori incalliti. Il duello sottile tra il marito geloso e il vicino galante Luigi Ianniello (Francesco Silvestri) è molto più di uno sfogo.
E’ piuttosto la richiesta di un marito, che nell’ambito dell’unione matrimoniale, vuole un riconoscimento morale. Tuttavia, a salvare questo matrimonio, non sarà “il contratto” tra i due coniugi – in questo senso aleggia la visione pirandelliana del matrimonio piccolo borghese – ma l’amore che Rosa e Peppino riscopriranno in una conversazione che li farà trovare quella “intimità” negata dal tempo passato. E’ il sentimento a vincere sulle convenzioni. Ne era convinto allora Eduardo, ne è convinto ancora di più oggi Servillo, che opta per una regia precisa, capace di perforare al di là del ruolo che ogni personaggio deve ricoprire all’interno del suo status sociale. E forse la zia Amelia (Betti Pedrazzi) ha capito più di tutti le ipocrisie e lascia alla platea riflessioni intelligenti sul matrimonio.
Memore dell’audace allestimento di Peppino Patroni Griffi degli anni novanta, il Sabato, domenica, e lunedì di Servillo resta uno dei migliori allestimenti eduardiani proposti negli ultimi vent’anni: tutto sembra sospeso, nei personaggi, nelle ambientazioni, nei profumi di casa Priore, nei movimenti dei personaggi, negli sguardi che li accostano a quelli cecoviani, per il loro modo di nascondere sotto il cappotto del “naturalismo” la schizofrenia propria di un mondo che cerca di ritrovare un suo equilibrio, una sua identità.
La scenografia minimalista curata dallo stesso Servillo e Daniele Spisi, illuminata dalle luci dalle tonalità ghiaccio del bravo Pasquale Mari, creano un’atmosfera in bilico tra vita e morte, quasi a sottolineare che “questi personaggi in cerca di un nuovo autore” provengono da un tempo lontano, da uno spazio che ha perso una collocazione geografica definita.
Il pubblico del Piccolo di Milano applaude tutti gli attori, tra cui spiccano gli impeccabili Toni Servillo, Anna Bonaiuto e Betti Pedrazzi.
Un’annotazione a parte va fatta per Francesco Silvestri, che ha sostenuto una bella prova d’attore, senza dimenticare che nella storia della drammaturgia napoletana resta ancora un grande punto di riferimento assieme a Moscato e al compianto Ruccello.
di Rosario Pipolo
Teatro Grassi
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