Nell’era della globalizzazione Braccianti parte dalla provincia di Foggia in cerca di una riflessione sul mondo del lavoro degli sfruttati di ieri per interpretare quello di oggi.
Siamo figli della terra e chi più di un bracciante può esserlo.
Nasce da un progetto culturale questo spettacolo duro come una zolla del tavoliere delle Puglie asciugata dal vento Favonio, soffio caldo e spietato, tipico della piana di Capitanata.
Il coraggioso Enrico Messina abbandonando Milano è tornato alla sua Foggia, sua terra del rimorso, per trovare nuova linfa artistica e lì l’ha trovata creando questo spettacolo, o, meglio facendolo creare dalle storie di queste facce scavate dal sole come scorze d’ulivo: braccianti.
Ha trovato la collaborazione della Provincia di Bologna e di quella di Foggia, di Tracce di Teatro d’Autore e, a portarlo in scena con lui, una trascinante forza creativa, quella di Micaela Sapienza, che con una corporeità spigolosa e affabulante racconta più che con le parole stesse, una vita di lavoro e fatica spietatamente fisica.
Sicuramente tra gli spettacoli da non perdere in questa stagione, che, come ormai i lettori che mi seguono sapranno, io definisco: spettacolo tascabile, cioè da portarsi dentro, tatuato nella memoria.
Un vero work in progress, questo Braccianti, che non si esaurisce sulla scena, ma ricco di contributi di altro tipo, prima di entrare in sala vi consiglio di guardare attentamente la mostra fotografica o di acquistare la pubblicazione “Progetto braccianti” che racconta come intorno ad un’idea teatrale si sia sviluppato un progetto più ampio che vuole portare ad una riflessione globale sul lavoro e che ha al suo interno un vasto repertorio di documenti ed altro.
Da visitare il sito www.progettobraccianti.it, dove ritrovare oltre ad un vero museo de “la memoria che resta”, anche informazioni sullo spettacolo che tornerà a Milano al Teatro Blu dal 26 aprile.
Perfette le scelte musicali che rafforzano la narrazione scenica come quelle composte da un ex bracciante, Matteo Salvatore nell’arrangiamento del grande Daniele Sepe.
Il modo migliore di concludere è chiedere in prestito ad uno dei protagonisti di questa storia senza fine, quella della fatica, i versi pensati forse con la schiena curva e spaccata dalla stanchezza e dal sole: “Siamo nati in questo mondo zeppo d’acqua, crosta e terra grande, nero, bianco e tondo: niente pace! Sempre guerra.”
Giuseppe Angione, bracciante di Cerignola, una vita di lavoro sui campi e questi versi come un solco di zappa a segnarne il passaggio nell’inferno del Tavoliere.
di Marcello Sinigaglia
Teatro Guanella
Comments are closed.