Dove abita la musica che viene dalla periferia del Sud? A parte qualche eccezione, l'universo musicale partenopeo è infestato da insulti neomelodici e forse il folk, quello fatto in casa – un dì splendeva la regalità della Nuova Compagnia di Canto Popolare – è l’unica via di fuga. I Terrasonora hanno iniziato da uno scantinato alle porte di Napoli e adesso con il pezzo Guardame sono finiti in finale al Festival Musicultura 2010. La Lombardia lì ha applauditi all'Isola Folk Festival nel bergamasco e mezza Europa, dalla Francia alla Bulgaria, ha capito che la loro musica ha oltrepassato il solito dilemma che vede il sound fare a scazzottate con il significato delle parole. Gennaro Esposito, Antonio Esposito, Antonello Gajulli, Raffaele Esposito, Francesco Ferrara, Gaia Fusco e Fabio Soriano sono pronti per l'ennesima sfida.
Ragazzi, la vostra testardaggine vi ha portato alla finale di un'importante vetrina. Cosa contraddistingue i Terrasonora dagli altri partecipanti?
Gennaro: “A noi piace parlare per detti – anche questa è tradizione! – e in questi casi il proverbio più appropriato è: Dicette 'o pappice 'nfaccia 'a noce damme 'o tiempo ca' te spertoso (Disse il pappice alla noce dammi tempo che buco pure te, ndr.). Scherzi a parte: Terrasonora sono un gruppo solido e molto unito che ha creduto fino in fondo nelle proprie potenzialità e forse questo è il riconoscimento che aspettavamo da molto tempo”.
Tutti si lamentano, ma poi è diventato un intruso troppo frequente. Anche voi in balia del televoto?
Antonello: “Era gioco-forza che ci scontrassimo con il sistema del televoto, ma è stato anche un modo per riscoprire il calore delle persone vicine e – piacevole sorpresa! – il gradimento di quelle lontane. Dalle 23 di oggi fino alle 23 di domenica 23 maggio possiamo essere televotati al numero 899030336 con il codice 36”.
Parliamo di Guardame, il brano che vi ha portato in finale. Come si inserisce nel vostro repertorio?
Fabio: “Guardame, forse è il brano che rispecchia in modo assoluto il progetto che portiamo avanti da molto tempo, parlare d'attualità avendo sempre presente lo sguardo al passato. La canzone descrive un'ipotetica fuga da uno stato di guerra, che può essere la Palestina come Napoli e via discorrendo. In questo caso, l'abbiamo raccontato con la forma musicale a noi più appropriata, cioè la tammurriata, attuando le nostre sonorità e i nostri canoni, che possono essere definiti moderni”.
Nella vostra anima c'è un folk che parte proprio dalla periferia. E solo questo che vi differenzia dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, di cui potreste essere dei nipoti?
Gaia: “Gli zii della NCCP sono senz'altro un esempio da ammirare perché tanto hanno fatto per la riscoperta delle nostre tradizioni, ma probabilmente è lo stesso momento storico – nonché la nostra provenienza – che ci conferiscono una sostanziale differenza. Da subito abbiamo espresso il nostro vissuto con uno sguardo al presente che ci sta intorno”.
Come si fa a guadagnarsi una credibilità in termine di stile adesso che il mercato musicale digitale ha cambiato le regole del gioco?
Antonio: “Nel percorso che ci ha portato a Musicultura abbiamo ripetuto più di una volta un proverbio napoletano che recita: se non sai da dove vieni non sai dove devi andare, forse le nostre radici e le nostre tradizioni hanno rappresentato un buon viatico per il nostro cammino e ci hanno guidato nelle scelte migliori”.
In Lombarida vi conoscono perché avete partecipato a diversi festival…
Raffaele: “Si è vero, uno su tutti IsolaFolk festival. E'stata veramente una bella esperienza. Lì nel bergamasco, abbiamo veramente sperimentato la potenza della musica folk, della musica popolare. Gran bel pubblico, numeroso, molto attento e riconoscente”.
Quando potremo ascoltarvi a Milano?
Francesco: “Speriamo presto, sono iniziati già i primi contatti. A breve vi comunicheremo date e luoghi precisi. E speriamo di avere anche Milanodabere.it tra il nostro pubblico”.