Chi non ricorda I Jefferson, sit-com cult degli anni settanta? La vicina di casa dei simpaticissimi protagonisti, George e Louise, era una certa Roxie Roker, che magari avrà portato sul set il suo pargolo. Quel ragazzetto riccioluto non ha scelto le orme della madre, ma si è dedicato alla musica anima e corpo. Permettetemi di presentare con questa intrigante curiosità il protagonista del concerto al Milano Jazzin’ Festival: Lenny Kravitz. Quell’uragano che riesce a mescolare le carte di rock e funk, sempre pronto a condire la sua immagine di salse glamour e un pizzico di sale da gossip, ha ancora ispirato il pubblico trendy dell’ Arena Civica, sotto un cielo estivo targato Barley Arts.
IT’S TIME FOR A LOVE REVOLUTION – Il rocker newyorkese, più paffuto del solito ed in buona forma, impugna il microfono ed, in certi giochi vocali, non rinnega mica gli anni del suo svezzamento: in prima fila nei cori gospel delle chiese di Harlem. Con sette album alle spalle, Kravitz spinge l’acceleratore sull’ultimo It’s Time for a Love Revulotion. Sì, questa rivoluzione d’amore che lui vuole con scivolate blues, ma anche con la convinzione che qui bisogna darsi da fare per riportare serenità in terra. Versatile con molti strumenti, Lenny in giubbotto nero gigioneggia e apre la serata alle 21.30 in punto con l’ultimo hit Bring it on.
I’LL BE WAITING – Farfuglia poche parole in italiano e lascia che il live avanzi veloce, zigzagando tra Always on the run, Dig in e Fields of Joy. Poi libera l’anima tra il soul di It Ain’t Over Till It’s Over, la robustezza ritmica di Stillness of Heart e la nostalgia degli esordi di Be, introducendola come la canzone preferita. La fisionomia musicale e strumentale lo accosta sempre più a quei guru che lo hanno ispirato, Jimi Hendrix e James Brown caput mundi, anche quando sono sterzate romantiche a naufragare tra le note del piano di I’ll Be Waiting. Quasi due ore e mezza di concerto tra applausi e standing ovation.