Toni Servillo, napoletano classe 1959, rappresenta un caso raro di maestria ed eclettismo nel panorama recitativo e registico attuale: conosciuto per la magistrale interpretazione di Titta di Girolamo, riservato commercialista della mafia ne Le conseguenze dell’amore di Sorrentino che gli ha valso il David di Donatello è in primis attore di teatro con una mastodontica carriera e esperienza nel campo alle spalle. Dopo essere stato sui grandi schermi quest’estate con La ragazza del Lago, Servillo torna al teatro e lo fa affrontando un testo complesso, che fu di Giorgio Strehler. Trilogia della Villeggiatura di Carlo Goldoni, è ben ritmato e godibile: può contare su attori di talento, una scenografia essenziale ma elegante e caratterizzata da espedienti scenici efficaci, un Toni Servillo in gran forma nei panni dello scroccone imbroglione. Pregio non indifferente quello di aver mantenuto un buon equilibrio fra le tre commedie senza sacrificare il ritorno a scapito delle avventure della villeggiatura.
Servillo, come mai la scelta è caduta sulla “Trilogia della Villeggiatura”? Perchè ha preferito un’opera del ‘700 e cosa significa per lei recitare al Piccolo di Milano?
“Sono partito dal riadattamento che Strehler aveva messo in scena nel 1954, ovvero una condensazione in un unico spettacolo delle tre commedie di Goldoni incentrate sulla borghesia che va in villeggiatura. E’ una piece che manca sul palcoscenico da 50 anni e verso il testo ho sempre provato una grande attrazione: da un lato la volontà di esprimerlo in autonomia, dall’altra il desiderio di indagarlo a fondo. Ho scelto Goldoni perchè rappresenta la continuità del mio percorso teatrale insieme a De Filippo, Marivaux e Molière: tutti autori capaci di analizzare la borghesia con schiettezza di linguaggio e cutezza di pensiero. Il passaggio al Piccolo è sempre un passo importante nella carriera di un attore. Nel mio caso è avvenuto con semplicità. La fiducia posta in me da Luca Ronconi è tutt’ora alla base del mio rapporto con questo teatro.”
Ha reclutato attori molto giovani come Eva Cambiale e Anna Della Rosa e veterani del palcoscenico come Gigio Morra e Paolo Graziosi. Qual è stato il criterio che ha seguito per il casting?
“Non ho fatto casting perché so quanto è umiliante per un attore essere giudicato per una poesia recitata in due minuti; non ho scelto, ma ho cercato gli attori. Ho voluto lavorare con attrici ventottenni perché credo che sia bello rischiare gioiosamente per avere in cambio il fremito della giovinezza, la sua voglia di correre sempre verso la ribalta. Paolo e Gigio sono attori di prestigio e in loro sento la lezione di De Filippo e Cecchi, in un’ottica di continuità con i miei interessi.”
Come mai ha deciso di effettuare le prove di uno spettacolo realizzato in co-produzione con il Piccolo di Milano interamente a Santa Maria di Capua Vetere, in provincia di Caserta?
“C’è un rapporto viscerale con la mia terra, sia civile, sia umano. Connettere il più prestigioso teatro pubblico d’Italia a un paese piccolo e preda di una certa depressione culturale certamente ha ridato luce a una terra abbandonata a se stessa ma profondamente legata al teatro.”
Da cosa dipende il fatto che il pubblico la conosce soprattutto come attore di cinema e pochi hanno coscienza del suo mastodontico passato teatrale?
“La responsabilità è anche del mondo dell’informazione che punta i riflettori sul cinema trascurando il teatro. Tutti i grandi attori però provengono dal teatro, basti pensare a Volonté, Mastroianni o Magnani. Il cinema può comunque aiutare il teatro: la gente ti conosce sul grande schermo, si incuriosisce e viene a vederti a teatro perchè vuole sapere chi sei e cosa fai.”
Sul palcoscenico interpreta Ferdinando, lo scroccone, il parassita sociale ciarliero e pettegolo; davanti alla cinepresa opta per personaggi introversi, silenziosi, incapaci di gestire le relazioni umane. Perchè questa diversità di scelte e cosa le piace di questo personaggio?
“Le mie scelte attoriali al cinema sono completamente indipendenti da quelle teatrali. Ho scelto Ferdinando perchè è il più impiccione e gira tutte le case degli altri personaggi, il posto giusto che il regista dovrebbe occupare in uno spettacolo. In realtà ho prima amato la commedia, poi i miei attori e il problema del mio posizionamento è stato l’ultimo a interessarmi. Mi spiace solo di aver dovuto tingermi i capelli: non sono orgoglioso della mia calvizie ma dei miei capelli grigi, quello sì.”
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