Sergio Rubini dirige gli attori Vittoria Puccini e Riccardo Scamarcio nella pellicola Colpo d’occhio, storia di un triangolo amoroso in cui interpreta il cineasta pugliese si riserva la parte di un mefistofelico critico d’arte, Lulli. I film di Rubini ci hanno abituato a storie mai banali, con intrecci complessi e personaggi dalla psiche profonda, ben studiata. Quest’ultima pellicola non fa eccezione, raccontando di ambizioni, di amore ingenuo e di manie che credono di essere amore.
La storia di Colpo d’occhio gira intorno ai personaggi del prof. Lulli e dell’artista emergente Adrian Scala (Scamarcio, n.d.r.). Come giudica questi due uomini?
Io mi identifico totalmente in Adrian. Occorre fare attenzione nel giudicarlo, bisognerebbe prima identificarsi bene con lui. Molto peggio di Adrian è Lulli. Il giovane artista è drogato di successo: quando lo si ottiene per la prima volta è un po’ come vivere uno stato di grazia, un’epifania. Voler sostenere il successo è ciò che fa precipitare il personaggio di Scamarcio. Tuttavia è Lulli a nutrire il bisogno di successo di Adrian, a creare la sua dipendenza.
Ha scelto di ambientare le vicende raccontate nella cornice del mondo dell’arte, non sarà un modo per parlare indirettamente anche di quello del cinema?
La figura del critico è più determinante nel mondo dell’arte di quanto non lo sia nel cinema. In ogni caso il film è teso a raccontare soprattutto il conflitto tra due figure: quelle di Lulli e di Adrian, l’uno è la ragione, l’altro è l’istinto. Entrambi vivono in ognuno di noi, ma io ho voluto fossero due personaggi distinti. Il modo dell’arte era semplicemente più funzionale alla storia che volevo raccontare, una storia di ambizione sfrenata porta alla rovina.
Che cosa l’ha aiutata a scrivere e dirigere il film?
Credo siano molto importanti per me le letture che faccio. Per il mio film precedente, La Terra, avevo letto molto Dostoevskji, e anche in Colpo d’occhio ci sono riferimenti a quel tipo di indagine psicologica, e al contrasto tra nichilismo e resurrezione. Non c’è più spazio al risorgere, c’è davanti a noi un orizzonte cinico e nichilista.
Come vive il doppio ruolo di attore e regista?
Ultimamente mi sono riservato ruoli piccoli perchè sostenere questo doppio lavoro è molto pesante, e poi finisce sempre che mi senta l’attore meno curato, meno preparato. I produttori però mi chiedono sempre di recitare, così questa volta ho accettato. Poi quando sono sul set, magicamente trovo un equilibrio per entrambi i ruoli.
Da dove arriva l’ispirazione per questo film?
Boh! sinceramente non so nemmeno io… come ho già detto leggo molto, ma non saprei dire cosa mi fa balenare un’idea. Penso che le persone si dividano tra chi ama ascoltare e chi ama raccontare, nonostante mi piaccia la letteratura, io appartengo decisamente al secondo gruppo.
Per un certo periodo è circolata la voce di un secondo finale alternativo a quello poi scelto, come ha deciso quale usare?
In realtà… era una bufala! Non volevamo che i paparazzi e i giornalisti che giravano intorno al set svelassero il finale, quindi abbiamo deciso semplicemente di depistarli.