Il romanzo Quanta stella c’è nel cielo di Edith Bruck (Garzanti) vive sul grande schermo grazie al film Anita B., firmato da Roberto Faenza. Per l'occasione, il regista torna a girare con un cast internazionale: dal fresco volto di Eline Powell (Quartet) allo sguardo magnetico di Robert Sheehan (Misfits). Siamo nel 1945 e la giovane Anita, scampata ad Auschwitz, raggiunge la zia in Cecoslovacchia. Parlare di quell'esperienza le viene quasi vietato, sembra che i suoi cari intendano cancellare il ricordo del tragico passato. Per Anita sono anni cruciali, in cui scopre l'amore per Eli, un ragazzo vitale ma per certi aspetti brutale. Un destino doloroso costringerà la nostra protagonista a prendere in mano la sua vita e a traghettarla verso il futuro.
Faenza, come definirebbe Anita B?
“Non è il 'solito film sull'Olocausto'. Si tratta di un progetto particolare, perché raramente il cinema si concentra su ciò che è accaduto a uomini e donne nel 'dopo Auschwitz'. È una pellicola sulla memoria e sulla difficoltà di affrontare un passato che, come accade ai personaggi che circondano Anita, vuole talvolta essere rimosso anziché custodito”.
Quali sono state le difficoltà incontrate nel realizzare questo lavoro?
“”Devo dire che, appena hanno sentito la parola Auschwitz, gli esercenti si sono spaventati. Il risultato è che Anita B. uscirà in appena quindici, venti copie. È una situazione offensiva e assurda, come il fatto che gli esercenti scelgano quali film proiettare o meno senza averli prima visti. Resta allora il canale della scuola: l'obiettivo è far vedere il film ai ragazzi e in questo senso conto molto sull'aiuto e la collaborazione degli insegnanti”.
Qual è il punto di vista da cui racconta la vicenda di Anita?
“Ho voluto accogliere lo sguardo della protagonista: nonostante l'esperienza del campo di concentramento, è ancora vivo in questa ragazzina il candore con cui si affaccia al mondo cercando amore, in maniera anche un po' ingenua, ricevendo indietro tutt'altro”.
Robert, come hai affrontato il ruolo di Eli?
Sheehan: “Nel romanzo il personaggio è un vero stronzo (sic!), ma io non volevo interpretarlo utilizzando un solo registro, esprimerlo con una sola nota. Così, come farebbe ogni buon attore, ho cercato di trovare le sue motivazioni, per riscaldarlo, dargli una dimensione umana”.
Che cosa ti ha convinto ad accettare il ruolo di Eli?
“Nel mio lavoro cerco di seguire una regola: interpretare ruoli quanto più possibile diversi tra loro. In questo caso poi, ho sentito un feeling speciale col personaggio. E direi anche che stare in Italia per le sette settimane delle riprese era decisamente meglio di un calcio nel sedere!”.
In sala dal 16 gennaio.