Il Festival di Sanremo compie 61 anni e si avvia sempre di più ad un’età decisamente pensionabile. Di certo a questa Italia che come previdenza sociale non offre nessuna prospettiva, non credo convenga farla finita con uno specchietto sociale come quello sanremese. Un popolo fragile di “canzonettari” mancati come il nostro non potrebbe mai rinunciare al festivalone. Sanremo è Sanremo perché o lo ami o lo odi. Lo ami quando la centrifuga della memoria lava i panni sporchi con il detersivo musicale dei Modugno, dei Tenco, dei Battisti; lo odi quando lo show e il gossip prendono impunemente il sopravvento sulle canzoni. Del resto se le due dame di questa edizione si sentiranno manichini imbrattati da divismo o timide vallette a noi poco importa.
SANREMO E LA SOLITA PAPPETTA – Importa piuttosto capire come mai un’icona dell’Ariston come Gianni Morandi sia finito alla conduzione, nonostante nel Belpaese chiassoso dei giorni nostri vada di moda confondere i ruoli. Importa capire come mai ci diciamo ogni santissimo anno che dobbiamo abbracciare una nuova formula e poi finiamo a mangiucchiare la solita pappetta: una volta c’erano le schedine del Totip a decidere le sorti dei vincitori, oggi c’è il totem misterioso del televoto. Le nuove generazioni si sentono a proprio agio nella cornice del Festival della canzone Italiana? Per niente. La vestizione del talent show musicale poteva essere un buon punto di partenza. Tuttavia, non basta aver messo sul trono delle passate edizioni qualche faccino di questo tipo, come non è sufficiente portare all’Ariston due interessanti madamigelle del pianeta Amici e X Factor: Emma e Nathalie. A parte qualche operazione da vetrina, tra gli affanni mascherati delle major discografiche, il Festival di Sanremo è ancora roba da vecchi, affossato negli eccessi televisivi che ammazzano la buona musica.
PIÙ TALENT, PIÙ SOCIAL, PIÙ WEB – Dovremmo tornare agli anni ’70 quando i teleguardoni disertavano “la città dei fiori”, ma in compenso all’Ariston ci passavano sconosciuti come il graffiante Rino Gaetano, che ha messo a tacere persino le intimidazioni censorie governative di allora. Torniamo a preoccuparci delle canzoni, interroghiamoci sul perché abbiamo dimenticato così in fretta il vincitore della passata edizione e quanto il web e i social network abbiamo mandato in corto circuito la trafila che obbligava un emergente a passare all’Ariston. Oggi ci sono tante altre scorciatoie, che per fortuna alimentano anche la musica indipendente e la tengono alla dovuta distanza dai ricatti dei colossi. Sanremo andrà davvero in pensione? Stiamo a vedere, ma il suo destino è nelle mani dei migliaia di utenti che per tutta questa settimana affolleranno le bacheche di Facebook e la timeline di Twitter. Nella loro visione c’è la formula segreta per mantenere in vita il Festival della Canzone Italiana. E non possiamo fingere che non sia così!