La quarantena forzata a causa dell’emergenza Coronavirus scorge il suo tramonto all’orizzonte. Di colpo qualche mese fa questa parola è entrata nelle nostre vite. Come un ospite inatteso e fastidioso, la reclusione si è imposta senza autorizzazione. Poi però abbiamo imparato a convivere con la porta chiusa e forse un timore per la riapertura sta facendo la sua comparsa. Proviamo a capirne il motivo
Parlare di timore per la riapertura sembra assurdo eppure non è come sembra. Il Covid-19 ha avuto nelle nostre vite la potenza di un urgano, in un attimo ha mischiato le carte in tavola, posto in essere questioni esistenziali, modificato il senso del susseguirsi delle giornate. Il cambiamento fa paura non in quanto tale, ma poiché denuncia la mutevolezza inscritta nella nostra vita. Noi dotati di ragione siamo molto abili però – e per fortuna – a riadattarci di fronte alla trasformazione. Infatti, reclusi nelle nostre abitazioni abbiamo cercato una nuova routine. Quella che inizialmente appariva impensabile, quella che ci ha resi protagonisti di un film apocalittico, quella che ci ha fatto provare rabbia, ora per certi versi ci appartiene.
Ovvio, quando la quarantena sarà finita, saremo felici e rincuorati nel non vedere finalmente più vittime, dolore e difficoltà. Saremo felici di uscire e incontrare i nostri cari, ma forse qualcosa, almeno a qualcuno, mancherà. In fondo per spirito di adattamento, ci siamo creati una realtà e un equilibrio. Forse all’idea di tornare alla vita di prima un brivido parte dal profondo, l’idea di uscire, ora, rappresenta una devianza, una novità. I meccanismi di interpretazione della realtà si sono invertiti. Alla paura del silenzio e della lentezza che ha sempre contraddistinto il nostro tempo, sopraggiunge la diffidenza verso il caos e la velocità. Il concetto di accelerazione prima venerato come divinità laica, ora estraneo.
Una nuova sfida
Uscire dopo mesi nel proprio nucleo domestico spaventa alcuni perché è un mettersi in gioco. Va a scuotere quello che faticosamente e inconsciamente ci siamo costruiti. Quella sicurezza e senso di protezione che chi ha avuto il privilegio di stare a casa in salute, ha provato. C’è, in alcuni di noi, un po’ quell’inquietudine del dopo. Riabituarsi a programmare la propria giornata, a incastrare come in un mosaico i mille impegni, a mangiare di corsa al telefono, a dimenticarsi le chiavi dell’auto e a correre in ritardo. Non è che ci siamo dimenticati di cosa significhi avere un orario da rispettare? Tralasciando coloro che svolgono Smart Working, per il resto forse tutto è un po’ giustificato e per la prima volta il mondo si muove con lo stesso ritmo pacato. L’orologio sembra aspettarci e questo penso lo ricorderemo con nostalgia.
Insomma, forse il nostro domani sarà come andare in bicicletta, cominci a pedalare e torni bambino, torni indietro e il tempo sembra non essere mai passato. Basterà magari poco per tornare allora alla vita frenetica di prima, ma a mio avviso, la riapertura, sarà comunque una nuova prova da superare.
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