Adriano Giannini è la voce narrante di Gauguin a Tahiti. Il Paradiso Perduto.“Mi sono sentito una specie di Alberto Angela” – “Il fascino del mio lavoro è che porta con sé l’esperienza del viaggio”. L’attore si racconta
Sguardo intenso e spirito avventuroso si fondono nella personalità di Adriano Giannini. Noi di Milanodabere.it l’abbiamo incontrato in occasione della presentazione del docu-film Gauguin a Tahiti. Il Paradiso Perduto. Il lavoro fa parte dell’originale progetto Grande Arte al Cinema, realizzato da Nexo Digital. Il lungometraggio arriva in oltre 360 sale cinematografiche italiane solo il 25, 26 e 27 marzo.
La pellicola su Gauguin, artista poliedrico e avventuroso, vanta Adriano Giannini come voce narrante. “Speravo di andare qualche giorno in Polinesia a girare qualcosa. Invece sono stato confinato in uno studio bellissimo a Milano.- dichiara l’attore in merito alla sua esperienza. E continua – È stata un’esperienza nuova per me sopratutto a livello tecnico. Per un attore la prima regola che si impara è non guardare l’obiettivo, in questo caso avviene esattamente il contrario. Il rapporto diretto con la macchina da presa è stato un po’ spiazzante perché nonostante dovessi rappresentare il forte e selvaggio Gaugin, mi sono sentito fragile”.
Figlio d’arte dei due attori Giancarlo Giannini e Livia Giampalmo, Adriano Giannini nasce a Roma nel ’71. A soli 18 anni inizia a lavorare come aiuto operatore cinematografico. La sua carriera parte dietro la macchina da presa, ma ben presto l’obiettivo punta su di lui. Nel 2001, infatti, esordisce con il film di Maurizio Sciarra Alla rivoluzione sulla due cavalli. Da quel momento in poi la sua carriera è piena di successi italiani e internazionali. Come dimenticare il bello e sfortunato Simone in Baciami Ancora o l’intensa voce di Joker ne Il Cavaliere Oscuro, che gli fa vincere il Nastro D’Argento nel 2009. Oppure, ancora, il ruolo che fu anche di suo padre nel remake di Travolti da un insolito destino… con al fianco la star Madonna nei panni della ricca e viziata interpretata, nel 1974, da Mariangela Melato.
Ora, però, è il momento di lasciare che lo stesso Adriano Giannini si racconti, chiacchierando un po’ con noi.
Gauguin si definisce un selvaggio, un ribelle costantemente alla ricerca di pace. Cosa ti accomuna al personaggio a cui hai prestato la voce?
Sicuramente quell’indolenza rispetto alla società che lo induce a spingersi altrove sin da quando è piccolo. Ho sempre sognato di andare, fuggire. E l’ho fatto grazie al mio lavoro, prima da operatore e poi da attore. Nel viaggio e nella scoperta del viaggio sono racchiuse tante ricerche di altro, tante conoscenze di verità diverse dalla tua. Per Gauguin mi sembra una ricerca di autenticità ed essenzialità. Però ci vuole anche coraggio e una buona dose di indolenza per lasciare una vita agiata con famiglia, figli e uno stipendio sicuro. E non basta nemmeno solo il coraggio. Per fare questi gesti si deve essere mossi da una passione ardente e un’urgenza di esprimersi. E poi ci vuole il talento. Questo non tutti ce l’hanno.
Gaugin afferma Sono forte perché faccio ciò che sento. Puoi applicare questa frase anche alla tua carriera?
Mi piacerebbe poter dire questa frase. Però nel nostro lavoro sono tante le variabili, quindi non sempre dipende da noi. Ogni tanto bisogna scendere a compromessi. Quello dell’audiovisivo è un mondo molto affascinante, ma complesso e delicato. Non è un lavoro solitario come il pittore, si lavora in collaborazione e condivisione con tante menti, tante sensibilità. Il filo che dovrebbe legare tutti è sottile e ogni tanto si spezza (ride). È bello quando si trova l’alchimia: ognuno con il suo, ma in un tutt’uno creativo. Però mentirei se dicessi che c’è sempre.
È difficile, per un attore, capire e incarnare a pieno un personaggio senza doverlo interpretare fisicamente? Di Gauguin sei “solo” la voce…
Sono stato una sorta di narratore, un collante tra pubblico, immagini e racconto. È la prima volta che mi capita di essere una specie di Alberto Angela (ride). Tecnicamente è completamente diverso dal ruolo dell’attore. Non hai, per quanto poi te la crei, la maschera del personaggio. E poi c’è la grande differenza di dover guardare l’obiettivo, che è la cosa che in genere l’attore non deve fare. Questa piccola variazione in realtà è un mondo, almeno per le prime due ore. Ti senti più vulnerabile. Per 30 anni non hai mai guardato la macchina da presa e poi ad un tratto devi…. Aiuto, non so farlo!
La prima volta in cui ti sei sentito veramente famoso?
Io famoso? No, dai. Mi credi se ti dico che continuo a non sentirmi famoso? O comunque mi sembra sempre di esserlo per caso, nonostante venga da una famiglia con un padre molto conosciuto. Però, a pensarci bene… Mi sono sentito famoso una volta alla dogana degli Stati Uniti a Los Angeles quando un poliziotto mi ha chiamato per nome. Di solito sono sempre incazzati, invece lui mi aveva riconosciuto perché da poco era uscito un film che avevo fatto lì. E un’altra volta invece in Romania. Alcuni film o serie arrivano anche nel paesino della Transilvania con quattro capre e tre carretti… e improvvisamente uno ti dice “Ho visto una serie che hai fatto tu” e rimani sorpreso. È sempre una sorpresa quando vengo riconosciuto, perché mi sento sempre un po’ invisibile.
Cosa ami del tuo lavoro ?
Il fascino del mio lavoro è che porta con sé l’esperienza del viaggio. E non da turista. Vivi quel posto perché lavori con le persone di quel posto, mangi con loro, vai a trovare la loro famiglia… Sono viaggi particolari, durante i quali puoi assorbire molto la cultura di un posto e ti rimane dentro.
Torniamo a Gauguin. Il pittore sente, nella sua vita, una costante necessità di evadere e trova rifugio nei paesaggi tropicali. Adriano Giannini dove trova rifugio?
Questa domanda è un po’ complicata per me. Io sono nato e cresciuto a Roma, ma dai 18 sono stato sempre in giro per il mio lavoro. Come Gauguin, ma almeno lui si fermava un po’ di anni nei posti… Per molto tempo Roma è stata la mia Itaca, il rifugio dal quale però puoi aprire la porta come l’uccellino che scappa.
E Milano?
Non la conosco tantissimo, però a breve verrò a vivere qui. La trovo profondamente cambiata negli ultimi 10 anni. È diventata davvero una città europea, se non mondiale, in termini di dinamicità. Sembra di non stare in Italia ed è bello. Roma, per esempio, sta barcollando ancora tra le sue macerie. L’impressione è che a Milano si sia innescato un volano che continua a innescarne altri. Forse con l’Expo, forse con la politica giusta. Questo è un bene, finché i volani non diventano troppi. Però per adesso è tutto positivo. L’unica cosa di Milano è che non mi oriento, non riesco a capire dove sto. Però almeno c’è la metropolitana…
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