Da “Acidoacida” a “DuraMadre”. L’ex voce dei Prozac+ si racconta
Trucco tribale, occhi di cristallo, capelli lunghi e scuri e fascette alle braccia: “i miei colori di guerra”, racconta Eva Poles, che sul palco dispensa energia e carica magnetica. Ex cantante dei Prozac+, torna sulle scene con il primo album da solista, DuraMadre. Dieci tracce inedite in cui l’artista di Pordenone fotografa stati d’animo, rabbia, gioia, passione, delusione. Il titolo del disco riprende il curioso nome della membrana che protegge il sistema nervoso, ma è anche un riferimento alla vita e ai suoi insegnamenti. Una voce impeccabile e un timbro inconfondibile attraversano sonorità post-punk, dando vita a un electro-pop dal piglio rock. Incontriamo Eva Poles dopo la presentazione live del suo ultimo lavoro, in attesa di ascoltarla nuovamente dal vivo in occasione del Fabrik Free Festival, il 23 giugno.
L’intervista a Eva Poles
Possiamo definire DuraMadre l’epilogo di un percorso e l’inizio di un altro?
“Assolutamente sì, è un album che fa il punto su una serie di esperienze ed è espressione di un’evoluzione che ho affrontato anche a livello personale: ho imparato a credere di più in me stessa, ad essermi più amica. Non è cosa da poco: quando ho iniziato a lavorare ai brani contenuti nell’lp non avevo questa fiducia, non è stato facile. L’album è espressione di un percorso ampio: scrivevo quando avevo l’ispirazione, il pezzo più vecchio è stato composto tre anni fa”.
Qual è stata la molla che ha fatto scattare in te il desiderio di un album da solista?
“Iniziare a essere consapevole della validità dei miei brani. Sotto questo aspetto ero insicura, per carattere tendo a vedere l’erba del vicino più verde. Poi ho cominciato a farli ascoltare ai miei amici, per lo più musicisti coinvolti nel progetto dei Rezophonic (formazione a sostegno di Amref Italia, con cui Eva collabora dal 2006, ndr) da cui ricevevo commenti positivi. Più li proponevo e più mi sentivo dire: “Fai un disco!”. Quindi mi sono convinta anch’io. Le canzoni più recenti, infatti, sono più solari”.
Negli anni Novanta i Prozac+ sono stati simbolo di un’epoca. Secondo te cosa è cambiato nel fare musica oggi?
“Sembra sempre che ci sia un’aura di sfiga attorno alla musica… In realtà non penso dipenda dalla crisi, ma credo che sia cambiata l’attitudine: le nuove generazioni sono meno interessate alla dimensione musicale, ci sono nuovi “idoli” che a me non fanno impazzire. Il mio sogno, da ragazzina, era diventare una cantante, oggi ambiscono a partecipare a trasmissioni come il Grande Fratello. Sembra che l’obiettivo non sia più fare qualcosa, ma avere i quindici minuti di celebrità. Non c’è orgoglio: ultimamente l’etica che vige nel nostro Paese è sballata sotto mille aspetti. Proprio io, che ho sempre fatto scelte alternative e provengo dalla scena indipendente-punk, vorrei vedere un’Italia diversa, con più moralità e dignità”.
Quale consiglio daresti a un giovane emergente? Tra l’altro tu hai insegnato canto in due scuole private…
“È importante l’approccio: bisogna crederci molto e seguire questa strada solo se si è convinti veramente. Poi credo che ognuno trovi la sua. Quando insegnavo chiedevo ai ragazzini “Perché vieni qui?”. Qualcuno mi rispondeva “Perché sei famosa e mi devi insegnare a diventare famoso”. Ed io correggevo subito l’atteggiamento “No, hai sbagliato!”. Spesso non sono consapevoli, credono che sei ricco solo perché ti vedono in tv. È la motivazione che deve spingere e deve essere profonda: la migliore sfida è quella di lavorare su di sé e sulle proprie capacità”.
Sei cresciuta a suon di musica classica e di punk. Come si conciliano queste due sfere?
“Sono due aspetti complementari: la grammatica musicale non cambia. Entrambi i generi, infatti, hanno in comune caratteristiche quali la simmetricità, gli andamenti ciclici, la ripetitività. Nella musica classica puoi viverti l’aspetto più riflessivo e intellettuale, mentre dal punk hai una risposta più immediata. Cambia l’atteggiamento: nell’indie c’è più istinto e meno consapevolezza”.
Vieni dal Friuli, una terra fertile per gruppi alternativi. DuraMadre, tra l’altro, è un disco dal suono internazionale: ha influito l’aria di frontiera che si respira al Nord-Est?
“In effetti io lo percepisco che sia una regione di confine: i gruppi che nascono nella mia terra hanno più riferimenti anglofoni. Forse da un lato c’è una suggestione vicendevole, dall’altro i miei ascolti sono poco italiani. Condivido con Max Zanotti (che firma la produzione artistica dell’album) la passione per gruppi come i Depeche Mode. Le influenze si sentono molto negli arrangiamenti del disco, c’è una maggiore forza. Anche il mio modo di cantare è diverso, non è semplice intonare testi in italiano, ci vuole molta energia”.
Che rapporto ha Eva Poles con Milano, quali sono i luoghi che ti piacciono di più?
“Lo definirei un rapporto di amore e odio: io vengo dalla campagna e le prime volte mi sono scontrata con una metropoli frenetica. Poi con i Rezophonic ho conosciuto molti milanesi che mi hanno fatto apprezzare la città. Ci sono diversi locali carini come il Toilet Club e il Biko, andavo anche alla Casa 139 e mi è spiaciuto che il Rolling Stone abbia chiuso. Adoro l’ultimo piano della Rinascente e Palazzo Giureconsulti, dove ho visto delle mostre molto belle”.
Web e Social Network: sei una frequentatrice?
“Ho un ottimo rapporto con il Web, ho sempre utilizzato il pc, fin da ragazzina: la Rete è una fonte inesauribile di informazioni. In questo momento i Social Network sono estremamente utili, non blocco mai le utenze agli altri. Di Facebook non amo l’aspetto pettegolo, mentre mi piaceva molto My Space, anche se ora si usa poco. Credo che l’evoluzione dei Social sia legata alle dinamiche di oggi, è espressione di una società che ha sempre meno tempo: siamo passati dalla cura grafica di My Space al sinteticissimo Twitter”.
Istinto e riflessione. Carisma e insicurezza. Etica e trasgressione. È un affascinante dualismo quello da cui emerge (e rinasce) Eva. Sono passati quattordici anni dal successo di Acidoacida, album che valse ai Prozac+ il Disco di platino. Eppure, l’entusiasmo e la voglia di continuare una ricerca musicale e personale non hanno mai smesso di stimolare Eva e la sua grande voce. Fuori dal coro, naturalmente.