Il bartender pavese deve molto alla città che gli ha offerto l’opportunità di lavorare presso alcuni rinomati locali e hotel milanesi
Se si chiede a Mattia Pastori come ha appreso il suo mestiere di barman, lui con orgoglio mette davanti a tutto gli insegnamenti ricevuti dai suoi genitori proprietari di un bar a Pavia. Pastori, infatti, nasce nella cittadina lombarda, dove tutt’ora vive con sua moglie e il figlio abituati a sentirlo rincasare a casa dopo il lavoro, a tarda notte. Il lavoro di bartender è notturno, si sa. Pastori, quindi, è un figlio d’arte, anche se poi l’esperienza vera e pura della miscelazione l’ha acquisita dietro il bancone di alcuni importanti locali di Milano dove ha lavorato e che gli hanno concesso l’opportunità di mettersi in mostra. Il capoluogo lombardo è, quindi, il suo habitat professionale a cui è (e sarà sempre, come ribadisce lui) eternamente grato. Sentimento di gratitudine che prova da una decina di anni.
Mattia, il tuo successo nasce all’ombra del Duomo e leggendo il tuo curriculum ci si accorge che hai lavorato in locali davvero storici della città. Ripercorri per noi le tappe fondamentali?
Tutto è cominciato dieci anni fa con un primo impiego nel bar del Park Hyatt. Ricordo ancora come si svolgeva la mia giornata tipo: arrivavo a Milano da Pavia, mi dirigevo a fare colazione al Camparino (che al tempo era il Bar Zucca), mentre sorseggiavo il mio cappuccino osservavo attentamente i barman di questo bar lavorare e ne rimanevo affascinato. Finito il caffè, filavo di corsa al Park Hyatt, con la consapevolezza che lavorare nell’area cocktail di un albergo è il top per chi approccia la professione di barman, visto che il bere miscelato si è affermato in quel tipo di ambiente. Molto importante, quindi, anche la mia permanenza qualche anno dopo al Mandarin Oriental Hotel, (dove è approdato dopo un periodo all’Armani Hotel, ndr) che più di tutti mi ha impartito le regole da seguire per offrire al cliente un vincente abbinamento tra drink e food, anche grazie all’intuito formidabile dello chef Antonio Guida.
Domanda secca: al di là delle tue esperienze, quali sono gli altri locali milanesi che ti hanno ispirato?
Ho letto una vostra precedente intervista a un collega che ha risposto esattamente come sto per fare io. Inizio con il Nottingham Forest, un luogo magico per gli amanti dei cocktail gestito da una persona fantastica come Dario Comini capace di trasmettere all’avventore una vera esperienza di consumo totale, dove ogni singolo ingrediente studiato per il drink non è mai lì per caso. Mi ricordo che quando ho cominciato a muovere i primi passi nel mondo della mixology, la notte quando tornavo a casa mi collegavo a Internet per leggere attentamente le interviste a Dario. Dichiarazioni che ancora conservo nel cassetto e che appena posso vado a rivedere perché sempre di grande attualità. Il secondo locale che amo in modo particolare è il Bar Basso, assoluto simbolo di quella classicità milanese di locale, nonché vero rappresentante del concetto di ‘bar di quartiere’ inteso come ritrovo quotidiano e informale di amici.
Oggi se sei un mixologist acclamato lo devi a?
In primis ai miei genitori che mi hanno insegnato le basi del lavoro e come ci si deve comportare nei confronti di ogni singolo avventore. Oltre a Dario Comini aggiungo poi che ottime indicazioni sul bere miscelato le ho ricevute da Fabio Firmo, pavese come me, mentre Francesco Pierluigi del Park Hyatt è stato colui che mi ha fatto davvero capire come deve funzionare il concetto di ospitalità, per fare in modo che un cliente che entra nel tuo locale possa realmente sentirsi a suo agio. Come se fosse a casa.
Milano ti ha dato molto a livello lavorativo, immagino che avrai dedicato uno dei tuoi cocktail alla città?
Più di uno. Se devo scegliere però opto per il Martini Milano che avevo creato in occasione dell’Expo. Lo preparo immergendo gin in un bicchiere ripieno di ghiaccio, immergo poi delle riduzioni di Campari e dei pistilli di zafferano. Da una parte quindi il food, dall’altra lo spirit, entrambi con un forte legame con questa città.
Qual è oggi lo spirit che spopola a Milano?
Scontato dire il gin, ma è così. Sono aumentati i locali che possono vantare centinaia di referenze in bottigliera. Fino a qualche anno fa tutto ciò era impensabile. È anche vero che pensando a Milano, il superalcolico che mi viene immediatamente in mente non è tanto un distillato quanto un liquore, un aperitivo e un cocktail come il Negroni nella sua variante ‘sbagliata’.