24th

Gennaio

Uomo e Galantuomo

Eduardo De Filippo bussa di nuovo al campanello milanese e sceglie la cornice storica del teatro San Babila per la messa in scena di Uomo e Galantuomo. C’è il guanto di velluto di Armando Pugliese a muovere i fili, anche se questa volta la regia è più addomesticata del solito. Certo quello del 1922 è ancora un Eduardo acerbo e la direzione è chiara, nonostante il contagio della scrittura pirandelliana. “L’arte della commedia”, per non finire in un gioco di parole, si sbriciola nelle vicende di un capocomico e della sua compagnia, in cui sotto lo schiaffo della farsa lo spettatore vive in sordina le amare incertezze di chi fa il duro mestiere del commediante.

‘NZERRA QUELLA PORTA – La memorabile scena di “‘Nzerra quella porta” è una grande lezione di teatro, per cui sfuggire alle sacrosante regole del palcoscenico può creare imbarazzi e doppi sensi. Del resto lo stesso Francesco Paolantoni se la dà a gambe in più occasioni per intrufolarsi nella macchietta di matrice scarpettiana o giocare d’improvvisazione con l’impareggiabile Tonino Taiuti, che sa come tenergli testa.

PURA FOLLIA – Ci sono dei bravi attori sulla scena, a cominciare da Giuseppe Mastrocinque, vestiti dal tocco dei costumi di Silvia Polidori, capaci di sostenere a pieno ritmo uno spettacolo che funziona, lasciandoci in eredità un’insostituibile convinzione: “la pazzia”, scalfita sul volto dell’Uomo o del Galantuomo, può essere soltanto un escamotage per giustificare l’arte dell’istrione, che rende meno miserabile questa esistenza, la nostra.

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