La Locanda Almayer non è teatro, è poesia
Il mare è una liturgia…
Il mare è il ventre dell’umanità…
Le navi sono gli occhi del mare…
Il mare…
Una bambina che vuole guarire, un pittore che dipinge con l’acqua di mare,
una donna splendida malata di tradimento, un uomo che cerca la donna della
sua vita.
Alla Locanda Almayer ognuno ha la sua storia da raccontare e in sottofondo, oceano-mare. Tratto dal capolavoro-cult di Alessandro Baricco e messo in scena in maniera magica da Gianlorenzo Brambilla, la Locanda Almayer non è teatro, è poesia.
“Il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni…”
Quella poesia rarefatta che aleggia per due ore ma resta nell’animo per
molto di più.
“Sai cos’è bello qui? Guarda, noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde”.
Una prima parte lieve come il mare leggermente increspato, una seconda parte che ci arriva addosso come un’onda anomala. E’ Thomas (Daniele Ornatelli) che compare solo adesso in scena e ci incolla alle sedie con un monologo dirompente, commuovente fino a diventare straziante.
“Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera.
E’ tempo, tempo che passa. E basta…”.
Ed è tutto un gesticolare, un’emozione, un movimento del mare in ogni singola parola. Perché alla Locanda Almayer il mare è dentro ogni ospite e dopo la rappresentazione, si agiterà nell’intimo di ogni spettatore.
di Lucia Maccà