Gabriele Salvatores nutre un legame forte e profondo con Milano e la scena artistica, teatrale e cinematografica, fin dalla fine degli anni Sessanta. Dal 2018 è il direttore artistico di Milano Film Festival, l’evento dedicato al cinema indipendente. Il regista premio Oscar si racconta a Milanodabere.it
“Sono nato a Napoli. Ma è Milano che mi ha fatto crescere”. Il rapporto che lega Gabriele Salvatores alla città meneghina è fortissimo. Risale fin dagli esordi della straordinaria carriera del regista premio Oscar (nel 1991 con Mediterraneo). Ovvero all’inizio degli anni ’70 quando, con Ferdinando Bruni, fondò il Teatro dell’Elfo. Il legame con la città diventa ora ancora più saldo con Milano Film Festival, storica manifestazione dedicata al cinema indipendente giunta alla 24esima edizione (dal 4 al 10 ottobre). E di cui Salvatores è per il secondo anno direttore artistico. Ha messo a punto un calendario fitto di eventi, proiezioni, anteprime. E poi di incontri e workshop con artisti di primo piano del nostro cinema: da Valeria Solarino a Margherita Buy, presenti al festival per raccontare la propria esperienza professionale.
Alla base del progetto c’è l’idea di fare di Milano un hub internazionale del cinema. Il tema del “cambiamento” è il fil rouge del festival, la cui inaugurazione è affidata al lungometraggio di Harmony Korine The Beach Bum con Matthew McConaughey come protagonista. Ed è comune anche ai tanti film del regista di Puerto Escondido, classe 1950, inclusi Marrakech Express, Turné, Io non ho paura fino a Happy Family. Fra pochi giorni arriverà nelle sale Tutto il mio folle amore, l’ultima pellicola che ha presentato (fuori concorso) al festival di Venezia76 e che sigla il ritorno (dopo dieci anni) della coppia Salvatores-Abatantuono (nel cast anche Claudio Santamaria e Valeria Golino).
Gabriele Salvatores racconta a Milanodabere.it il rapporto di profondo amore che lo lega da sempre a Milano. Il suo affetto per la città traspare chiaramente dalle parole di gratitudine che dimostra. Ma anche dal trasporto emotivo con cui ne parla, sempre accompagnato da modi gentili, il sorriso dolce e timido, da eterno ragazzino a caccia di pure emozioni.
Milano Film Festival sta diventando un evento dal respiro sempre più internazionale. Cosa l’ha spinta ad accettare (per il secondo anno consecutivo) l’incarico di direttore artistico?
Ho deciso di accettare l’incarico proprio per il mio rapporto con Milano. Sono nato a Napoli. Ma Milano mi ha fatto crescere. Mi ha fatto crescere prima con la musica, poi col teatro, poi con il cinema. Alcune cose non sarebbero state possibili in un’altra città. Mi riferisco all’inizio degli anni ’70, quindi un’altra epoca, quando ancora giovanissimi abbiamo messo insieme una compagnia teatrale come quella dell’Elfo. E abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con la città. Non è così automatico.
E così anche un festival come il MFF, secondo me non sarebbe stato possibile organizzarlo in un’altra città. Ecco uno dei motivi per cui poi ho accettato di partecipare a questa direzione artistica. Un festival del genere non sarebbe stato possibile secondo me in un altro luogo. Ecco uno dei motivi per cui poi ho accettato di partecipare a questa direzione artistica. L’altro motivo, poi, è che credo che quando arrivi ad un certo punto della carriera, senti l’esigenza di fare qualcosa che non sia solo per te stesso. Ma che si leghi a un territorio, a delle istituzioni e che possa proseguire in futuro. Io non ho figli ma li allevo in questa maniera.
Qual è il suo rapporto con Milano?
È una città a cui sono affezionato non solo perché ci sto bene, ma perché anche se ha attraversato dei periodi diversi, alla fine torna sempre a occuparsi delle persone, della cultura. Ha un’apertura verso il mondo. Come cantava Lucio Dalla in Milano: “Milano vicino all’Europa”. Mai come adesso questa cosa è vera. Non saprei dove altro andare a vivere.
Quali sono i luoghi di Milano ai quali si sente più affezionato?
Sono tornato a vivere in uno dei luoghi dell’infanzia. Ho preso infatti casa dalle parti di Santa Marta, San Maurilio, insomma le 5 Vie. Ci sono affezionato perché lì sono sorti i primi centri sociali. Mi ricordo che c’era il Cicip & Ciciap, il primo famoso centro sociale di femministe. Non sono mai riuscito ad entrare perché gli uomini non erano ammessi. Però era fantastico, e qualche vota si riusciva a mangiare qualcosa di quello che loro preparavano. È uno dei posti che amo molto, rappresenta una Milano popolare ma in centro.
Ma mi piace tantissimo anche come sta cambiando la zona intorno alla Fondazione Prada, sempre più vicina alle capitali europee. Da quartiere industriale a centro culturale. E questo Milano ha sempre cercato di farlo. Da una parte ha un centro antico e dall’altra ha la capacità di rinnovare la città.