CIPRIAN SAYS – Rumore di voci, un grande schermo che proietta ininterrottamente I rinoceronti di Eugène Ionesco. Gli attori sono dei bambini, l’assurdo del testo si intreccia così con l’improbabile ricostruzione, il gioco e gli impossibili ruoli sociali. Appena entri nella Prometeogallery l’ambiente spoglio, riempito solo dalle voci, ti circonda e ti sospinge fino all’altro video in cui il figlio dell’artista racconta una storia. Il bambino si muove tra la Genesi e la Rivelazione, includendo nel discorso i videogames e la necessità di pregare. La sua improvvisazione narrativa, l’inabilità a ricordare i dettagli e il suo ripetere gli stilemi dell’ospite di talk show o del professore di religione, ci portano a riflettere sui principi dell’educazione e sull’infanzia. Queste sono due delle cinque opere di Ciprian Muresan che saranno esposte dal 25 ottobre al 25 novembre. Al centro del progetto c’è il dialogo tra padre e figlio, che diventa luogo dove la paura di perdere il controllo dell’educazione del figlio, o la paura di separazione sembrano innescare dinamiche di panico; il discorso resta sospeso a metà strada tra la confessione e l’interrogazione critica. La costruzione visiva dell’esposizione appare come un inventario di ossessioni derivanti dal rapporto padre-figlio, nel quale si inseriscono le voci sociali che rendono la spontaneità, o l’artificialità, dell’arte, o della vita, delle costruzioni culturali.
CONTEXT? – Salendo gli scalini che conducono alla Project room si entra in uno spazio diverso, poco illuminato. La luce proviene da una piccola lampadina che rischiara una teca, all’interno una serie di disegni di Ian Tweedy. I supporti di queste opere non sono di semplice carta, sono carte geografiche copertine di vecchi libri, documenti del passato, tutto ciò su cui l’artista interviene deve avere una memoria di qualcosa, deve avere una storia a sé. Partendo da questo presupposto aggiunge al valore già presente nel materiale immagini sociali, ritratti di collettività, una serie di immagini della storia recente che sembrano aver perduto coordinate e contesto. A history out of context è proprio questo, un’intersezione di spazi e tempi, una serie di associazioni di geografie e identità. Il contesto è ricreato nel wallpaper che grida “Context” e spiegato, senza parole, in un video in bianco e nero in cui le mani di Tweedy strappano le pagine bianche di alcuni vecchi libri. Le pagine sono i suoi terrains vagues, il futuro supporto per i suoi disegni che non sono altro che immagini strappate alla cronaca, altra storia fuori dal contesto.
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