“L’auto contemporanea presenta l’arte contemporanea”: questa è la prima scritta che noto appena entro alla Triennale di Milano per la Keith Haring Show, allestita dal 28 settembre al 29 gennaio. Ci metto qualche secondo prima di capire che la frase è una trovata dello sponsor che sovvenziona la mostra e non c’entra niente con le opere dell’artista americano…
Vinco l’esitazione iniziale e mi imbatto subito in alcune foto dell’artista da giovane (che poi giovane è rimasto anche fino al momento della morte, avvenuta per malattia a soli 31 anni). Lo sforzo di mettere a fuoco è tutto mio, dal momento che le pellicole sono volutamente sfuocate, anche se gli occhi si sottraggono a questa tecnica e appaiono nitidi più che mai, quasi a darmi il benvenuto. Il colpo d’occhio generale sulle sale della Galleria mi fa cogliere subito la ricchezza delle opere radunate per l’occasione; leggo, infatti, che ci sono ben 100 dipinti, 40 disegni, diverse sculture e opere di carta di grande formato. Tra le prime che vedo ce n’è subito una nota, che forse anche i bambini conoscono: un grande “Micky Mouse” in bianco e nero del 1981, acrilico su carta. Scopro che Haring amava molto il fumetto, inteso come arte popolare che arriva a tutti, e amava anche i bambini e i ragazzi giovani, che si divertiva a coinvolgere soprattutto nelle sue opere più impegnative, nei lunghissimi murales, ad esempio. Tra questi, quello famosissimo del Muro di Berlino, che Haring decide di fare per dare una valenza sociale, etica e politica alla sua arte: “Toccare la vita personale in modo positivo è per me la cosa più vicina all’idea di religione” (Keith Haring). L’arte supera ogni barriera e auspica ad un mondo unito, senza frontiere. Questi elementi della vita e della personalità dell’artista emergono sia nelle didascalie molto dettagliate che si trovano all’ingresso di ogni ambiente destinato all’esposizione, sia nel video che viene trasmesso attraverso dei televisori nel corridoio che si trova dal lato opposto dell’ingresso.
Le tecniche utilizzate dall’artista sono diverse, alcune anche piuttosto originali, come ad esempio la pittura dyaglo su metallo, vernice spray che si trova esclusivamente negli Stati Uniti, oppure l’inchiostro sumi giapponese. La prima stanza a destra, ad esempio, è quasi interamente dedicata a quadri realizzati con inchiostro sumi su carta. Tra questi, ce n’è uno che ricorda particolarmente la Lupa che allatta Romolo e Remo (ma l’untitled, voluto e destinato alla maggior parte delle opere di Haring, non consente di svelare l’arcano). Qui c’è spazio anche per 3 dipinti su sculture, che rappresentano rispettivamente il David di Michelangelo, la sua testa, il solo busto, realizzati con smalto fluorescente su gesso. In ognuna di esse la firma, confusa nella fitta trama delle decorazioni, LA II, dell’amico graffittista Angel Ortiz che lo ha aiutato a realizzare tali opere. Anche il soffitto di questa stanza è una tela disegnata, e ricorda il Giudizio Universale di Michelangelo: si intitola “The Marriage of Heaven and Hell” e fa parte della scenografia creata dall’artista per l’opera omonima di Roland Petit per il Ballet National de Marseille.
Nell’ambiente successivo, spiccano due grandi vasi di terracotta disegnati con inchiostro, e diversi dipinti realizzati con smalto sul legno. Tra questi il celebre “untitled” che raffigura un bambino stilizzato che gattona, all’interno del quale sono disegnate le diverse fasi della vita, dal concepimento fino alla morte. Che ne dite del titolo “L’evoluzione della vita”? Proseguendo, entro in una stanza dove spicca un tamburo decorato con feltro e smalto, e tre sculture d’alluminio smaltate, che rappresentano due grandi facce ovali e un cane (altra icona, questa, della pittura di Haring). Finalmente due titoli: il “Portrait of Grace Jones” (acrilico e olio su tela cerata) e “Keith and Julia” (acrilico su tela). L’artista era amico della star americana Grace Jones, a cui aveva dipinto tutto il corpo, ritenuto da Haring “tra le più belle superfici mai dipinte!”. Così pure conosceva molto bene Madonna, che un mese prima dell’uscita del suo disco, che poi sarebbe diventato famosissimo, “Like a Virgin” (1984), aveva cantato per il compleanno del pittore con un vestito disegnatole da lui apposta per l’occasione.
In un’altra stanza spicca notevolmente la tela “untitled” 1983, realizzata in occasione del terremoto dell’Irpinia e presentata a Boston all’interno della rassegna collettiva “Terrae Motus”, invitato dal gallerista Lucio Amelio di Napoli. Rappresenta tre “cani” che ricordano il dio egizio degli Inferi Anubi, sotto i quali c’è un tappeto di uomini schiacciati. Oltrepassato un altro ambiente, dove si notano due grandi vasi in fibra di vetro dipinti con smalto su pennarello, si attraversa un corridoio dove domina l’opera “Andy Mouse-New Coke”: sullo sfondo tipico della coca cola, Haring disegna Andy Warhol (suo spirito guida all’interno della Pop Art) e Mickey Mouse. Altro corridoio, ma questa volta c’è spazio solo per le foto: tra tutte, Grace Jones dipinta da Haring, Harring disteso su fondale dipinto per il balletto di Roland Petit, Bill T. Jones dipinto. Due allumini dipinti dal titolo “Blu Dog” e “Curling Dog”.
L’allestimento della mostra consente ai più curiosi di approfondire notevolmente la vita e la personalità dell’artista, oltre che ovviamente le sue opere. In queste è dominante “il senso della vita”, nei confronti della quale l’artista americano esprime un costante entusiasmo. Ciò risulta evidente soprattutto nella rielaborazione contemporanea di un tema medievale come “L’albero della vita”, attraverso l’opera “Tree of Life” (1985) in cui stabilisce una continuità ideale tra presente e passato.
Non mancano, infine, momenti di sfiducia o di denuncia. Di qui le visioni apocalittiche legate alla malattia che l’ha consumato (l’AIDS) evidenti nel trittico acrilico su tela del 1984, dove da una sorta di “Urlo” di Munch ha origine un lungo serpente che ingoia un uomo. Altra allusione alla negazione al dolore, la croce presente in alcuni suoi dipinti, soprattutto quelli dell’ultima fase, e la raffigurazione del Grifone medievale (disegno non comune per l’artista), forse personificazione di Nemesi, che presagisce un triste destino in uno spazio vuoto (1989).
Conclude l’esposizione un filmato dal titolo “Haring AllOver, un viaggio con Chrysler” che presenta contributi ed interviste inedite e mi porta in un viaggio attraverso New York, Parigi, Knokke, Anversa, Dusseldorf, Philadelphia, Chicago e Montecarlo, le città del mondo in cui Haring ha realizzato grandi opere pubbliche. Il percorso – tra pubblicità decisamente invadenti – si conclude a Pisa, dove l’artista ha realizzato, pochi mesi prima della sua morte, l’ultimo murale, “Tuttomondo”.
Esco, mi aspetto di trovare di fronte la torre pendente e invece il giardino innevato e soleggiato di parco Sempione mi riporta alla realtà. Che da questo momento per me è sicuramente più ricca e piena di vita.