Due date in Italia per Mark Lanegan, due sold out. Il 25 marzo l'Alcatraz accoglie il cantante con l'entusiasmo di chi ha atteso sei anni prima di sentire il nuovo materiale targato Mark Lanegan Band. La scaletta di un'ora e trenta scalda il pubblico con i must dell'autore americano, iniziando con un'intensa When your number isn't up, concentrando la presentazione di Blues Funeral nella parte finale del set, che si chiude con gli undici minuti di Tiny grain of truth.
Applausi al termine di ogni canzone. Lui, immobile, concede solo qualche cenno e alcuni “thank you very much”. Lanegan non è certo un chiacchierone, ma la sua voce fa dimenticare tutto. Melodie decise o lente, la sofferenza aleggia e traspare in ogni nota. Le luci rosso fuoco nascondono il volto segnato dal tempo. Le mani aggrappate all'asta del microfono come se fosse l'unica salvezza. Le tastiere si inseriscono in modo armonico nel contesto “laneganiano”. Resta il fatto che brani come One hundred days, Pendulum e la mefistofelica Metamphetamine Blues (con cui chiude il concerto) colpiscano al cuore, lasciando un sapore agrodolce in bocca. Nemmeno canzoni più elettroniche come Ode to sad disco, Quiver syndrome e Harborview Hospital sfigurano a confronto con una classica One way street. La voce di Lanegan avvolge e rende proprio anche un sound che a un primo ascolto potrebbe sembrare distante anni luce. Welcome back Mr Lanegan.