Si perdona tutto o quasi a Giuliano Palma. Anche quei tre quarti d’ora di ritardo con cui fa aspettare il pubblico del PalaSharp in una fresca serata di fine estate. Sale sul palco, annunciato dal fido chitarrista Fabio “Sir” Merigo dei Bluebeaters che lo precedono sul palco e con la sua voce languida e i gorheggi a ritmo reggae, the King ottiene facile perdono.
BLUEBEAT MOLLEGGIATO – Snodato negli arti inferiori quanto nelle corde vocali, il cantante lascia nei camerini l’ansia da platea vuota: “Pensavo foste ancora al mare, e invece siamo tanti e siamo i migliori!”. Poi si abbandona all’entusiasmo del pubblico di casa. Non dimentica la divisa d’ordinanza: abito scuro, camicia rossa, cravatta nera, occhiali da sole immancabili che trascinano i fans di ogni età dietro le note della sua band.
SIGNORE E SIGNORI, THE BLUEBEATERS – Piano, basso, tromba, sax, due chitarre e un batterista che ci mette tanta passione da lasciarci il rullante e richiedere a Palma doti da intrattenitore, giusto per il tempo di riparare il danno e provocarne un altro: dalle prime file, un vecchio amico del cantante si catapulta letteralmente oltre le transenne per abbracciare the King. Niente di rotto stavolta, e dunque lo show prosegue, sempre con l’aiuto di luci coloratissime, ad accompagnare Out of times, See you tonight e gli altri pezzi, come Poison Ivy, una delle hit contenute nel prossimo disco, in uscita a ottobre, dal titolo Boogaloo. Presentato con illuminazione rosa e gialla, il brano entra subito nelle corde e nelle gambe del pubblico, così come Tutta mia la città, cover di una formazione storica come l’Equipe 84.
CLASSICI E MEDLEY – Naturalmente c’è spazio anche per i classici: Che cosa c’è, Wonderful life, Come le viole e, dopo un break di qualche minuto, utile per uno strategico cambio d’abito, la richiesta del pubblico viene esaudita. Giuliano Palma e The Bluebeaters suonano la trascinante Messico e nuvole di Paolo Conte e regalano un medley strumentale, con Just can’t get enough dei Depeche Mode, Shout dalla colonna sonora di Animal House e l’evergreen Twist and Shout dei Beatles, a testimonianza a perizia di tutta la band.
I saluti e i ringraziamenti arrivano troppo presto: tutti i componenti della band, persino l’impassibile bassista giamaicano Sheldon Gregg, si lanciano in coreografie improvvisate e inchini indirizzati ad ogni angolo del palazzetto. Bella lotta decidere chi siano i più dispiaciuti per la fine della serata, se il pubblico o la band. Chiaro segno di un concerto riuscito.
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