Che cosa ci faccio qui? è l'unico pensiero che rimbomba in testa mentre facciamo la fila per avvicinarci all'ingresso dell’Alcatraz, al concerto di Salmo, domenica 15 dicembre. Tutto intorno una selva di ragazzini, tipo gita del liceo. Indossano cappelli da baseball con la tesa orizzontale e pantaloni oversize e recitano a memoria interi eloqui ritmati agitando il braccio su e giù. Quella sensazione di inadeguatezza comincia a scemare a live iniziato quando i primi membri della Machete, Madman, Gemitaiz, Enigma e gli altri, cominciano a scaldare il pubblico. Con Nitro, 20 anni di talento puro e gioiello in ascesa della crew, quella sensazione scompare perché tutto diventa d’improvviso così necessariamente chiaro. È chiaro, ad esempio che il linguaggio hip hop, un tempo gioco d'elite o puro scimmiottamento dell'estetica a stelle e strisce, adesso è in Italia una fetta di cultura endemica che ha formato nuove generazioni di rap-nativi.
Al suo arrivo sul palco Salmon Lebon, al secolo Maurizio Pisciottu, sembra suggellare il trionfo di questa affermazione. Si muove con la sicurezza di chi quest'anno ha superato le 30.000 copie vendute fregandosene della radio, dei talent show, dei videoclip su mtv e di tanti mammasantissima dell'industria discografica. In scaletta i brani di Midnite ma anche pezzi degli album precedenti e il nuovo Blood Shake con ospiti d'eccezione i Dope DOD, all'Alcatraz direttamente dall'Olanda. Tutto riarrangiato. Sì perché la sorpresa della serata, sold out a conclusione del tour italiano, è che ad accompagnare le rime non sono solo le basi dubstep e drum&base di Dj Slait, ma una band vera con strumenti veri. Rullanti e gran cassa danno ulteriore credibilità alla formula del rapper sardo sempre in bilico tra elettronica ed hardcore tutto sangue e sudore, senza disdegnare riff e accelerazioni metal.
Così, ad esempio su Death USB e Stupido gioco del rap, vengono in mente i fasti dei Rage Against The Machine e dei Beastie Boys e ci giriamo a commentare con il nostro vicino, il quale sorride e annuisce ma se potesse ci risponderebbe che quando Tom Morello faceva l'assolo di Bombtrack lui non era neanche nato. Ma non importa. Sul palco c'è qualcosa di credibile. Qualcosa che suona attuale come poco altro, perché il pogo duro, lo stage diving e il wall of death ai limiti della guerriglia raccontano gli stessi impulsi adolescenziali, le stesse insormontabili frustrazioni, la stessa spensierata incoscienza di quando avevamo quindici anni, quindici anni fa. Solo che lo fanno con un linguaggio diverso, che tanti trentenni miopi oggi si ostinano a snobbare perché ai miei tempi sì che era musica. Ecco questi trentenni, fra un po’, dovranno fare i conti coi loro figli. Buona fortuna.