Al di Meola non è del New Jersey, ma è campano “mamma e papà di Napoli e Benevento” dice. Si sente “paesano” e ama la nostra sensibilità. Definisce anche Parmisano, il tastierista, “compaesano” in un italiano stentato che noi prendiamo come un omaggio per simpatizzare. La sua discografia è costellata di incontri pregiati: John Patitucci, Herbie Hancock, Pino Daniele, Chick Corea, Paco De Lucia, Paul Simon, Phil Collins, Santana, John McLaughlin.
Dalla rivisitazione di Piazzolla (The Grande Passion) all’esordio con Corea fino agli album più acustici la sua esperienza amplifica il suo stile e basta comparare le vecchie registrazioni con quelle di oggi che si percepisce una sapienza maggiore soprattutto nell’orchestrare le fasi di una performance. Al di Meola ci ha testimoniato coi suoi lavori un gusto ludico per la fusion e un innato talento di cantare manipolando svariati generi che assecondano la danza e il canto più che soddisfare la mente con influenze modali o bebop. Così infatti è stato martedì 9 maggio. Il Blue Note è pieno e Radio Montecarlo trasmette live il concerto.
Sin dall’inizio della serata mi domando se andrà meglio la parte fusion, jazz e progressive o più gipsy, acoustic e latin. La seconda ipotesi sembra la più appropriata solamente lanciando uno sguardo ai miei dirimpettai, alquanto esuberanti e arditi nel piumaggio. Ma vediamo cosa è successo… La serata si condensa in un’ora e mezza e il tocco di Al e gli attacchi di tutto il quintetto sono precisi e puliti, senza troppi fronzoli ornamentali. L’approccio iniziale fusion è il primo modo di accreditarsi il favore di un pubblico già compiacente.
Senor Mouse di Chick Corea è perfetto per scaldare gli animi mentre l’empatia coinvolge tutti. Anche perché il tema è come un punto interrogativo, una domanda provocante che viene rivisitata continuamente da ogni elemento del gruppo. Quando Di Meola si lascia andare la musicalità che sparge tra di noi è frutto del feeling particolarmente seducente tra lui, Parmisano e Adams che durante la serata ci deliziano essendo i più appariscenti e la sostanza del gruppo.
Da ricordare Adams e Ortiz che danno vita a un duetto esilarante esemplificando imitazione e variazione che però solo lontanamente ricordano la padronanza strepitosa di stili di un Tony Williams con cui il chitarrista ha collaborato. Azzurra riporta tutti a un clima più quieto e contemplativo; inoltre inaugura la chitarra acustica con la quale il tocco diviene più percettibile e tutti apprezzano meglio la naturalezza del fraseggio di Al. Anche l’utilizzo di Libertango è pregevole. Dopo aver centellinato il motivo in ogni strumento concludono esasperandolo in un crescendo classico. Per chi conosce la fusion ma non solo, è un modo come un altro per terminare il pezzo.
Infine anche il bis viene concesso con piacere mentre i più urlano “acoustic” preferendola alla chitarra elettrica. L’apprezzamento maggiore è stato per la parte dell’artista che amo anche io, in cui la sonorità acustica privilegia i toni del canto e quindi il suo particolare talento più musicale e virtuosistico, sicuramente più corposo e stupefacente di quello compositivo e sperimentale.
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