È uno dei dipinti più iconici del capolavoro divisionista di Giuseppe Pellizza da Volpedo; parliamo del Quarto Stato, opera popolarissima anche grazie al grande schermo.
Fu, infatti, utilizzata per i titoli di testa del film Novecento di Bernardo Bertolucci del 1976 e utilizzata fin dal 2010 come “testimonial” collocata nella scala elicoidale d’ingresso al Museo del Novecento di Piazza Duomo a Milano.
Ma non è sempre stata così celebre.
L’opera è la seconda versione di un dipinto realizzato tra il 1895 e il 1898 noto come La Fiumana, il Quarto Stato, realizzato tra il 1898 e il 1901, è ancora più monumentale ed imponente, con l’inarrestabile marcia dei manifestanti e dei braccianti.
Presentato alla Quadriennale di Torino del 1902, l’opera non ebbe il successo sperato, e come vincitore del concorso venne decretato un monumento dedicato al principe Amedeo di Savoia di Davide Calandra, in linea con il gusto dominante.
Non venne neppure acquistato da Casa Savoia, che nelle esposizioni di belle arti faceva incetta di opere per arredare i suoi palazzi. Pelizza da Volpedo era un outsider, e la sua opera dovette aspettare lungo tempo per diventare così iconica.
Dopo la morte nel 1899 di quello che considerava il suo maestro, Giovanni Segantini, e della moglie nel 1907, demotivato da un successo che tardava ad arrivare, decise di togliersi la vita nel 1907.
L’opera iniziò ad avere successo 13 anni dopo, in pieno Biennio Rosso; nel 1920 venne esposto nella Galleria Pesaro di Milano, l’anno dopo entrò a fare parte delle collezioni comunali d’arte, e venne esposto nel 1921 presso la Sala della Balla del Castello Sforzesco, che allora ospitava la Galleria d’Arte Moderna.
Con l’arrivo del Fascismo non era più conveniente che l’opera fosse esposta e venne nascosta nei depositi fino a che nella metà degli anni Cinquanta, venne rivalutata dalla nuova Italia democratica, diventando il simbolo della “Repubblica fondata sul lavoro”.
L’opera venne quindi esposta nella Sala della Giunta di Palazzo Marino, sede dell’amministrazione comunale di Milano. Nel 1980 dopo un restauro venne deciso di esporla a Palazzo Belgiojoso Bonaparte, sede della Galleria di Arte Moderna, dove rimase per trent’anni, fino all’apertura del tanto agognato Museo del Novecento al Palazzo dell’Arengario in Piazza Duomo.
La scena è ambientata in una piazza del paese natale del pittore e rappresenta la protesta di un gruppo di lavoratori, la cui marcia verso un futuro luminoso rivendica la forza e la dignità del lavoro da cui deve partire il riscatto del popolo.
È un quadro a cui Pellizza lavorò tra il 1898 e il 1901, anni caratterizzati da scioperi, proteste e rivendicazioni della classe operaia, di cui la pittura si fa portavoce.
La realizzazione del dipinto richiese al pittore un lungo periodo di studio durato dieci anni.
Il pittore, alla fine, ispirato dagli scritti di Jean Jaurès sulla Rivoluzione francese, la chiamò Il Quarto Stato.
Manifesto, icona o simbolo, Il Quarto Stato è un capolavoro della pittura italiana.
Furono tantissimi gli studi prima di arrivare all’opera definitiva, con grandi cartoni preparatori per i personaggi in primo piano e per la schiera alle loro spalle, facendo posare i suoi compaesani e la famiglia e poi con carte trasparenti trasferendo la composizione sulla tela definitiva. La tecnica è moderna, la tela è dipinta con piccoli tocchi, linee di colore puro, ottenendo una fitta trama di pennellate filamentose.
L’opera, che oggi è alla GAM, grazie all’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi, che ha posto fine alle sue peregrinazioni trovando casa al Quarto Stato in una sala dedicata ad una delle opere più celebri della pittura italiana dell’ultimo decennio del XIX secolo.