Ludovico Mantegna, figlio di Andrea Mantegna scrisse a Francesco II Gonzaga proponendogli l’acquisto di un’opera del padre per estinguere un debito. Quest’opera era proprio Il Cristo morto di Andrea Mantegna, uno dei dipinti più drammatici e rivoluzionari del Rinascimento.
Nessuno, prima di Mantegna, aveva raffigurato un Cristo morto così umano, appena deposto dalla croce, adagiato su una lastra di marmo rosso, la cosiddetta Pietra dell’Unzione, dove, secondo la tradizione cristiana, la salma di Gesù sarebbe stata preparata per la sepoltura.
Visibili sono i segni delle ferite lasciati dai chiodi sulla pelle delle mani e dei piedi. Sul lato sinistro del dipinto compaiono tre figure che versano lacrime, la Madonna, con un fazzoletto che si sta asciugando gli occhi, San Giovanni, che piange con le mani giunte e una donna che apre la bocca disperandosi, forse Maria Maddalena.
Ma i veri protagonisti sono la luce e la prospettiva, perché Mantegna è stato uno dei più grandi maestri dell’illusionismo prospettico, e dà prova delle sue eccezionali abilità anche con il Cristo morto.
Rompendo totalmente con la tradizione, Mantegna offrì una rappresentazione inedita del tema del Compianto sul Cristo morto, sperimentando un punto di vista che nessuno prima di lui s’era spinto a osare.
È come se noi entrassimo nell’ambiente in cui il cadavere di Gesù è stato trasportato e Mantegna avesse voluto renderci testimoni diretti di quello che sta accadendo, ponendoci di fronte a Cristo, per vederlo frontalmente, con punto di vista leggermente rialzato.
Il Cristo morto è stato oggetto di particolare attenzione negli ultimi anni, dal momento che la Pinacoteca di Brera a Milano, il museo in cui l’opera è conservata, ha voluto rendere giustizia alla sua unicità superando la collocazione che il dipinto ha mantenuto fino al 2013: il capolavoro di Mantegna, infatti, si trovava esposto, assieme ad altri dipinti, sulla parete di destra della sala VI, il lungo corridoio dedicato alla pittura veneta del Quattrocento, dal quale poi s’accede ai saloni napoleonici. Il museo ha optato per soluzioni che potessero dare risalto all’opera.
L’allestimento del 2013 fu affidato al grande regista Ermanno Olmi (Bergamo, 1931 – Asiago, 2018), che per il Cristo morto immaginò una saletta appartata, buia, allestita alla fine del corridoio, che avesse al suo centro il solo dipinto mantegnesco, posto a pochi centimetri d’altezza dal pavimento (67, per l’esattezza).
Per la Pinacoteca, il progetto di Olmi, si leggeva in una nota ufficiale, era “il risultato di una profonda ricerca intellettuale”, era volto a isolare e distanziare il dipinto “per consentire la corretta visione della particolare forzatura prospettica e cromatica che lo caratterizza”, e intendeva garantirne la visione a piccoli gruppi di visitatori, che si sarebbero sistemati dietro un distanziatore curvilineo “affinché la percezione prospettica” risultasse “corretta” e “l’incontro con l’opera” fosse “emozionale”.
E lo stesso Ermanno Olmi, in un’intervista pubblicata da La Stampa il 3 dicembre del 2013, sosteneva di aver collocato l’opera “nella prospettiva voluta dall’artista, come del resto lo stesso Mantegna indica nelle volontà testamentarie, all’altezza in cui il corpo si trovava, come doveva essere guardato”. “Osservarlo in alto, com’era prima secondo i consueti criteri museale”, aggiungeva, “è un ossimoro, una contraddizione che farebbe ribellare anche i chiodi. Io l’ho affogato nel nero, nello spazio infinito, nell’assoluto”.
Del Cristo morto di Andrea Mantegna sappiamo pochissimo. Non conosciamo neppure la data di esecuzione, il capolavoro oggi a Brera potrebbe dunque collocarsi attorno al 1475-1480. Per altri si tratta di un’opera che l’artista eseguì per la propria personale devozione privata.
Di recente s’è fatta strada l’ipotesi, formulata da Stefano L’Occaso, che vorrebbe il dipinto eseguito nel 1483, in occasione dell’arrivo d’un frammento della Pietra dell’Unzione a Mantova: vi fu portato dal frate Paolo Arrivabene da Canneto, che tra il 1481 e il 1484 fu custode di Terra Santa (ovvero il superiore della Custodia di Terra Santa, ente che si occupa dei Frati minori che vivono e predicano nel Medio Oriente, e curano l’accoglienza dei pellegrini che giungono in Terra Santa: una carica che esiste ancora oggi).
È probabile che Mantegna sia stato affascinato dall’importante reliquia e abbia deciso d’omaggiarla a suo modo: non ci sono comunque prove certe, e la datazione del Cristo morto rimane un tema oltremodo complesso.
È un’opera senza precedenti e uno dei capisaldi del Rinascimento, sia dal punto di vista tecnico, sia per ciò che riguarda i suoi contenuti. Forse è con questo dipinto che per la prima volta vengono sottolineate e poste senza indugio davanti agli occhi dell’osservatore tutta la fragilità e tutta l’umanità di Cristo.
Il Cristo Morto è una delle opere più impressionanti dell’artista: la morte è descritta senza alcuna idealizzazione. Secondo altri studiosi, il ritratto con la prospettiva “di scorcio”, che suscita la sensazione del collo e della testa staccati dal resto del corpo, simboleggerebbe la cristologia diofisista delle due nature, l’umana e la divina, compresenti in Gesù Cristo, e di conseguenza il valore redentivo che la fede cristiana.