Non ho mai visto dal vivo Marlene Dietrich o Edith Piaff, ma, certamente, dopo aver visto Ute Lemper posso almeno immaginare quanto belle siano state.
Donna affascinante, per la sua bellezza non perfetta, la sua femminile alterità si dissolve con un sorriso, rendendola dolcemente ragazzina.
Emerge dal buio del palco una figura scura; sotto un cono di luce blu e fumo appare lei, a Milano per “Aperitivi in Concerto”, rassegna musicale del Teatro Manzoni.
Ute inizia i suoi racconti, che narrano di storie di gente comune, in viaggio verso una nuova vita o in fuga dai persecutori. Appaiono alla mente una Berlino o una Parigi del dopoguerra, luoghi neanche tanto lontani da noi per spazio e per tempo.
E’ splendidamente brillante, con stivali in pelle nera ed un vestito in pizzo nero da ballerina.
Deliziosa quando fa la femme fatale sia quando fa la giocosa, calcando la “R” tedesca ed ammiccando ironicamente. Muove le braccia sinuosamente, rotea le mani su canzoni yiddish e naviga attraverso canzoni scritte per lei da Nick Cave, Kurt Weill o Jaques Brel. Balla sensualmente e passa a vocalizzi che sconfinano in giochi di voce, gioiosi e liberatoti, come una bimba che urla al mondo la sua felicità, in quel momento.
Il valore della musica è dentro di lei, dentro al suo gusto, derivato dalle influenze subite e da ciò che ama.
Il Voyage sta per terminare e Ute ci accompagna verso la notte, con un po’ di nostalgia. Dopo aver viaggiato tra francese, tedesco, inglese ed ungherese, dice di essersi fatta insegnare dal suo vicino di casa a New York una canzone in italiano, per noi. E quella canzone è “Caruso”, di Lucio Dalla. Stupenda!
di Melissa Mattiussi
Teatro Manzoni
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