Riso e risotto. Ma chi è nato prima? Per fortuna, in questo caso, non esiste l'annoso dilemma dell'uovo e della gallina. La storia ne traccia l'evoluzione attraverso documenti scritti. Soprattutto per quel che concerne la preparazione archetipo e prototipo del risotto: quello alla milanese.
CHICCHE DI STORIA – È il riso il padre del risotto. Non solo perché l'uno sta alla base dell'altro, ma perché l'uno è più vecchio dell'altro. Almeno fino alla fine del Settecento, infatti, i chicchi venivano prima lessati e poi arricchiti con diversi ingredienti, quali burro, tuorli d'uova, cannella e parmigiano grattugiato. Lo si legge nel testo anonimo dell'Oniatologia (scienza del cibo), a proposito della “zuppa di riso alla milanese”. E poi? La rivoluzione. Il riso diviene risotto, inteso come cottura lenta e progressiva, ottenuta aggiungendo piano piano brodo caldo. A codificarne la ricetta? Nel 1809, un misterioso autore (di cui rimane l'acronimo L.O.G.) nel Cuoco Moderno, con il “riso giallo in padella”, impreziosito da zafferano e saltato in un soffritto di burro, cervellata (antico insaccato milanese), midolla e cipolla; poi, nel 1829, Felice Luraghi, nel Nuovo cuoco milanese economico, con il “risotto alla milanese giallo“, in cui viene contemplata pure la noce moscata; infine, ai primi del Novecento, Pellegrino Artusi, forlimpopolese doc, che concede due versioni di risotto alla milanese, di cui una con il vino bianco.
I SOR(RISI) DI CESARE – No, lui il vino non ce lo mette. Lo chef Cesare Battisti, nel suo ristorante Ratanà, ospitato in una palazzina di inizio Novecento (sede della Fondazione Riccardo Catella), il risotto giallo lo prepara alla prefezione e senza la presenza di Bacco (che finisce solo nel bicchiere, grazie ai suggerimenti di Danilo). Una pietanza esemplare la sua, figlia del Carnaroli Superfino Riserva San Massimo, firmato dall'omonima azienza del Parco del Ticino lombardo; di un buon brodo di carne; di polvere e pistilli di zafferano spagnolo; nonché di una mantecatura virtuosa di burro doppia panna (del pavese caseificio Vaghi) e di Tipico Lodigiano 24 mesi. E il midollo? C'è. Dentro e sopra, a pezzettini. E anche la cipolla: tagliata a metà, fatta tostare e poi tolta. Giusto a concedere i suoi umori e poi sparire. Ma non di solo milanesità vivono i mitici risotti cesariani. Visto che incontrano pure Presìdi Slow Food come il Pannerone e le marchigiane mele rosa dei Monti Sibillini; si fondono con zucca, porcini e salvia; sposano il pesto di finocchietto selvatico e il salmerino al pepe; e abbracciano il classico ossobuco. Facendosi piatto unico. In un ambiente capace di unire legno e metallo, convivialità e ottima cucina. Che si lascia intravedere fra gli spazi vuoti della parete-bottigliera a scacchiera.