E’ tornato il Leone di Belfast. Milano ha avvertito in lontananza il suo ruggito ed è accorsa per questa doppia data al Teatro degli Arcimboldi. Quando sul palco c’è Van Morrison non si sa mai come andrà finire. Scontroso quanto basta per mandare a diavolo pubblico e musicisti, il musicista irlandese impugna il suo microfono e fa una scorribanda sregolata tra soul e jazz. Le ha provate tutte con stile libero, perché a lui le regole gli sono sempre andate strette. Il vento torna a soffiare gelido nella capitale dell’irlanda del Nord, tra Falls Road e Shankill road, le due strade che si sono fronteggiate nel duello feroce e sanguinoso tra Cattolici e Protestanti. Quel ritaglio di storia è appiccicato ai margini della sua musica e si affievolisce dietro la ruggine del suo soul.
KEEP IT SIMPLE – Gioca a nascondino come sempre dietro occhiali scuri, poche parole, tira diritto su un uragano musicale, accompagnato da tre coristi e otto musicisti. Con l’immancabile cappello e in abito grigio, Van Morrison ha ancora una voce possente, pronta a distillare l’R&B, incalzante per sfiorare la Black Music, vellutata quanto basta come un buon bicchiere di vino che vorresti non finisse mai. La scaletta non è mai la stessa, ma c’è sempre posto per comete musicali come Moondance, riportata in voga da Micheal Bublè, o Astral Weeks. La voce diventa ruvida, lasciandosi come la carta vetrata per la ballad Have I Told You Lately That I Love You, e poi di getto venata di romanticismo per una versione corale di Can’t Stop Loving You. Incursioni anche nel nuovo album Keep it Simple, miscela di blues tradizionale con getti di folk, celtic, country e gospel. Mentre fuori piove a catinelle, il pubblico degli Arcimboldi si riscalda con un concerto da ricordare, ma Van Morrison non si smentisce mai neanche nel finale: niente bis e il palco si svuota in un batter d’occhio, dopo novanta minuti tutti di un fiato.
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