Valerio M. Visintin è un critico gastronomico del Corriere della Sera che ha preso spunto dalla sua esperienza per scrivere il suo primo libro: L'ombra del cuoco (Terre di Mezzo Editore, Euro 12,00). Protagonista è un fittizio “collega” dell'autore, che si ritrova suo malgrado coinvolto nelle ricerche di un ristoratore scomparso dopo una pessima recensione pubblicata dal critico. Dopo una brutta pagella, è più facile immaginare che sia il critico gastronomico a sparire misteriosamente, invece del cuoco “maltrattato”: ma una storia del genere sarebbe stata troppo scontata.
Visintin, com'è nato L'ombra del cuoco?
“Ho cominciato a scriverlo nel 2006. Spesso si dice che i giornalisti non abbiano passione per la scrittura, non è proprio il mio caso. Ho sempre scritto raccontini, ma arrivato a 40 anni mi sono detto che era il momento di fare sul serio”.
Da una firma del Corriere non ci aspetteremmo grandi fatiche per trovare un editore. Invece dai ringraziamenti finali del Suo romanzo si evince che non è così: cosa ci racconta della Sua odissea editoriale?
“Mi sono trovato di fronte un muro di gomma imprevedibile. Chiariamo subito: io non sono nessuno, ma pensavo di avere vita un po' più facile per via del mio lavoro. Invece ho spedito 25 manoscritti e mi hanno risposto solo due editori, dagli altri non ho mai ricevuto notizie o solo proposte assurde, come quella casa editrice che mi propose di inviare loro un riassunto del romanzo di 10 – 15 righe per valutarne poi la pubblicazione! Ma come si fa?!?”.
Quali generi di conforto ha un critico gastronomico mentre scrive?
“A dire il vero, niente in particolare. Scrivo a tutte le ore, non ho riti particolari, ma poichè per me scrivere è un po' uno sport estremo, preferisco essere pienamente lucido e … sobrio”.
Perchè uno sport estremo?
“Perchè è difficile per me riuscire ad ottenere uno stile comprensibile, ma non banale; “facile” ma originale”.
Milano fa da sfondo al romanzo, ma appare – come si legge nei risvolti di copertina – livida e indifferente. La pensa ancora così?
“Penso che questa città si stia ingrigendo, forse addirittura incattivendo. Vedo una progressiva perdita di educazione e rispetto per le regole e non tanto per la presenza di persone immigrate, ma per colpa dei milanesi “storici”. Mi pare che stiano inesorabilmente perdendo il buon senso e il sano vivere civile”.
Che ristorante manca a Milano?
“Manca una generale elasticità di orari, sarebbe bello avere tanti ristoranti che davvero restino aperti fino a tardi. Mancano locali dove mangiare fuori orario: oggi chiedere anche solo un panino alle sei di pomeriggio in un bar suscita reazioni allarmate! E poi manca anche personalità: è pieno di wine bar tutti uguali, ultramoderni e con grande cura per l'aspetto estetico, ma senz'anima”.
Quali sono gli aspetti negativi del mestiere di critico gastronomico?
“Sono fuori tutte le sere, il che crea qualche problema nell'organizzazione della propria vita sentimental – amicale. Comunque penso sempre di avere una professione privilegiata, divertente ed appagante”.