18th

Aprile

Peter Greenaway

Fa venire la pelle d’oca l’Ultima Cena di Peter Greenaway, fiore all’occhiello di questa stagione artistica milanese. Mancano le parole per descrivere ciò che il regista gallese ha compiuto con il già capolavoro di Leonardo: la sua è un’operazione che nulla vuole togliere al genio di Leonardo. L’intento di Greenaway nasce anzi per esaltare il celebre dipinto su muro, ridonandogli quella vita che nessun restauro saprebbe fare. Poichè grazie ad un magico (e al tempo stesso scientifico) gioco di luci proiettate sull’opera, complice una colonna sonora ad hoc, lo spettatore partecipa all’Ultima Cena. In un incontro al pubblico Greenaway ha parlato (con sottile humour) del suo geniale progetto.

Da regista ad artista: da dove cominciamo per arrivare a questa sua Ultima Cena?
“Mi sono accostato alla pittura da ragazzo, prima che al cinema. Poi, per una serie di errori sono diventato regista cinematografico. Davanti a un quadro mi concentro su “temporalità” e luce”.

Il lavoro che ha compiuto sul Cenacolo non è il primo del suo genere…
“Per il 400mo anniversario della Ronda di Notte di Rembrandt ho realizzato un’operazione analoga. Per tornare al discorso di prima, tutti sanno quale maestro della luce sia stato il pittore fiammingo. Ai suoi tempi si faceva luce con le candele, poi insomma, si sono sviluppati altri modi, altre tecnologie: che cos’è il cinema se non la manipolazione di luce artificiale, grazie alla pellicola per esempio? Se Rembrandt fosse vivo, sono sicuro sarebbe oggi un regista cinematografico, come Leonardo del resto”.

Perchè l’interesse al Cenacolo?
“Mi ha guidato il desiderio di vedere davvero questo dipinto, insiema alla voglia di risvegliarlo e farne rivivere il dramma ad esso sotteso. Mi sono potuto avvicinare ad esso vedendo cose che prima di me solo i restauratori e Leonardo potevano vedere: i singoli dettagli, particolare per particolare. Sono entrato in intimità con l’Ultima Cena, focalizzandomi non solo sull’uso delle luce che ha fatto il suo artefice, ma anche sulla bidimensionalità e la tridimensionalità dell’opera”.

Può spiegarci alcune scelte relative al lavoro di Palazzo Reale?
“Su una parete della Sala delle Cariatidi c’è un clone dell’Ultima Cena. Si tratta della fotografia digitale più grande del mondo: ha un rapporto 1 a 1 con l’originale, pesa 20 giga. Le luci che animano il dipinto sono un’analisi e un’interpretazione dell’opera, mentre le immagini degli altri quadri di Leonardo, proiettati sulla parete opposta, costituiscono una sorta di apparato critico che allarga il significato del Cenacolo nella produzione del genio vinciano. Inoltre, con il mio lavoro ho creato una sorta di ipertesto del dipinto, poichè metto in rilievo particolari altrimenti trascurati da chi guarda l’opera: il coltello e le stoviglie sul tavolo,le mani e i piedi dei personaggi”.

Il curatore del progetto, Franco Laera, ha detto che il non sapere come definire il suo lavoro (spettacolo? installazione? cinema in tempo reale?) testimonia la sua novità, l’essere il germe di una nuova forma d’arte, derivante dalla contaminazione tra la arti.
“Io sono molto interessato ai risultati dell’interazione tra linguaggio cinematografico e pittura, credo che un dialogo tra cinema e arte sia possibile e auspicabile. Mi piace investigare in questa direzione, e penso che le nuove tecnologie – che credo siano vettori di nuove esperienze estetiche – rendano possibile la creazione di una dimensione narrativa di un quadro. Proprio come poteva fare il cinema con le immagini, ma allo stesso tempo in maniera decisamente diversa”.

La sua Ronda di Notte ad Amsterdam attirò 3 mila visitatori al giorno e il suo Cenacolo qui a Milano sta ottenendo un successo incredibile. Quali saranno le prossime sfide?
“Ho in progetto di lavorare su Las Meninas di Velazquez, su Guernica di Picasso, su un quadro di Seurat a Chicago e su un Jackson Pollock a New York, Ma vorrei soprattutto poter compiere operazioni simili a quella dell’Ultima Cena con il Giudizio Universale di Michelangelo. Mi raccomando: datemi una mano… non so se me lo lasceranno fare…”

Cosa pensa della location della sua opera, che originariamente doveva essere messa in atto a Santa Maria delle Grazie?
“La Sala delle Cariatidi in realtà costituisce un altro ipertesto del Cenacolo. Nel ’43 Palazzo Reale venne bombardato e la Sala porta ancora i segni di quell’episodio storico. Segni che ci ricordano la fragilità del dipinto di Da Vinci, ma anche il deterioramento del tempo che passa. Comunque, benché il clone dell’Ultima Cena sia in tutto e per tutto identico all’originale, il mio progetto ha un senso completo se messo in atto su quest’ultimo”.

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