26th

Marzo

Paolo Jannacci racconta la sua Milano ‘all that jazz’

La città si trasforma, ma l’anima resta: solidale, frenetica e artistica. Parola di Paolo Jannacci che, come suo padre, di Milano è sempre innamorato

Paolo guarda Milano con gli stessi occhi con cui lo faceva papà Enzo. Un’occhiata romantica e libera su una città che, ieri come oggi, è in perenne fase di trasformazione. E pur cambiando continua ad affascinare, indipendentemente dal fatto che uno porti le scarpe da tennis o la giacca e il paltò. Milano non sconfessa la sua anima solidale e altruista, anzi la rivendica come tratto distintivo, dice il musicista che avverte però: porgiamo la mano, ma stiamo attenti a non girarci mai dall’altra parte per non guardare chi soffre.

Chi fa Jannacci di cognome non può limitarsi a qualche giudizio su Milano buttato qua e là, ma entrare dentro la città che evolve, sentirsene parte integrante. E suonarla. Scandendo le note a ritmo di jazz. Paolo sente queste vibrazioni musicali. Milano come New Orlèans. E lo ha spiegato a Milanodabere.it in questa intervista che, a noi, ha tanto ricordato quella ‘milanesità’ che fu tipica dell’indimenticabile padre.

Milano va sempre di corsa. Expo e non Expo, sembra vietato fermarsi a tirare il fiato… Paolo come vivi l’ondata di frenesia che sta nuovamente scuotendo la città?
Molto positivamente. Guardo Milano e mi accorgo che segue un nuovo percorso di profondo cambiamento. Ma stiamo attenti però: non facciamo finta di non vedere che c’è ancora gente che dorme in strada e che fatica ad arrivare a fine mese. Milano, intesa come città vivente, come contenitore di persone che sono dei grandi lavoratori, ma anche di artisti e famiglie, non deve mai e poi mai perdere il contatto con la propria umanità. Le cose semplici… non fingiamo di ignorarle, perché sono il motore di tutto.

Insomma, la musica è quella giusta, ma occhio alle note stonate. Ce ne sono secondo te?
Parecchie, sarebbe utopistico se non fosse così. Mi limito a indicarne una: la nostra rabbia repressa…

Rimanendo in tema musicale: oggi Milano che genere sonoro è?
Ora più che mai la lego al mio caro amato Jazz per un processo di ‘melting pot’ sociale che sta caratterizzando la città. E poi anche per la ricerca, raffinatezza e tutte quelle citazioni. Oh yes, ne sono proprio sicuro, Milano is Jazzing.

Suona che ti passa, ma speriamo non passi mai la voglia che questa città ha di aiutare gli altri. Milano ha conservato la sua anima solidale?
Certo che l’ha mantenuta, in fondo alla strada, dopo il nostro egoismo, girando a destra là avanti dove c’è il semaforo. Ed è propri lì che i milanesi probabilmente si sentono davvero felici.

Hai ancora un legame con il quartiere Ortica, molto caro a papà Enzo?
Sì ce l’ho, anche se ho cambiato zona. Ho spostato il mio studio pensatoio sempre da quelle parti. Mi sono, infatti, trasferito nella vecchia casa di mio padre, in zona Lambrate. Quartiere stupendo, lo dichiaro con fierezza. E se qualcuno mi fa arrabbiare gli dico: ‘Uè, guarda che vengo da Lambrate io!’.

Jannacci

Musica, risate ricordi, ma anche solidarietà: Paolo Jannacci, come amava fare suo padre, preserva un’immagine romantica e incantata di Milano

Dei concerti musicali visti a Milano quali sono i più belli di sempre?
Ve ne cito tre, non in ordine d’importanza però. Il primo è quello a cui sono stato pochi anni fa al Teatro degli Arcimboldi, quando sono andato a sentire Paolo Conte, uno dei miei personali miti e fonte di grandissima ispirazione artistica. Un secondo live indimenticabile è datato 1986 al Teatro Smeraldo, quando a salire sul palco fu Chick Corea Elektric Band. Infine, sempre allo Smeraldo, una delle ultime performance di mio padre, di cui ancora conservo con grande emozione la registrazione.

C’è un amico di tuo padre che più di tutti ti è rimasto impresso? Hai qualche aneddoto da raccontarci su di lui?
Un nome su tutti: Paolo Tomelleri, musicista e mio punto di riferimento professionale. Lui mi ha spiegato come ‘capire’ la musica ed essere più ‘adulto’ nell’interpretarla. L’aneddoto lo dedico quindi a lui: un giorno mio padre lo avvolse nel giornali e gli diede fuoco… così, per scherzo. Non successe nulla, tranquilli, era solo un giocherello tra amici. O quella volta che sempre papà  parcheggiò l’auto di Paolo, appena comprata e quindi nuova di zecca, in un fosso vicino all’Idroscalo.

È ancora lì?
Sarebbe potuto essere così, se non che mio padre riuscì da solo a tirarla fuori. Ancora oggi mi chiedo come sia riuscito a farlo. Ma so che fu obbligato a trovare una soluzione, perché Paolo lo stava minacciando di morte con un fucile. Cosa volete farci, erano ragazzi…

Per chiudere, sei anche tu un ‘cuore rossonero’?
Rispondo in rima citando ‘Aspettando al semaforo’, il libro che ho scritto su papà: Il Milan è il battito cardiaco stesso… E poi Gianni Rivera, che come diceva mio padre ‘quando usciva lui dal campo, andava via la luce, perché quel giocatore era la luce’. Quindi che dite? Secondo voi la passione rossonera l’ho ereditata?

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