27th

Febbraio

Allarme Coronavirus, Università chiusa. Come ci si sente?

Una riflessione tra inclusione e straniamento. A seguito dell’ordinanza del Ministero della Salute sull’emergenza Coronavirus, in accordo con la Regione Lombardia, anche Milano si è fermata: Università, musei, cinema, teatri, tutto sospeso almeno per una settimana. Come vive, allora, uno studente universitario la settimana di black-out? La nostra testimonianza

L’Italia e Milano stanno vivendo un momento difficile, di paura e disorientamento a causa dell’allarme Coronavirus: per prevenzione tutto si è fermato, musei, Università, scuole. Questa apparente inattività mi offre l’occasione per sviluppare una riflessione. Sono una studentessa universitaria, abito a Milano da tre anni e ho sempre vissuto la città con tanta partecipazione. Quello che si percepisce, da subito, è la velocità di un sistema che ti abitua ad assolvere i tuoi doveri. A interrogarti sul tuo posto nel mondo, a impegnarti per creare un futuro che ti rispecchi. Attivismo, energia, impegno, studio, questo ha sempre rappresentato Milano per me.

Milano al tempo del Coronavirus

Ora, invece, l’università è per il momento chiusa, uscire non è consigliato. Come mi sento? Da studentessa un po’ persa, mi manca la mia routine, paradossalmente anche quella stanchezza dopo una giornata frenetica, quel ritmo accelerato che mi appartiene. Sono un’osservatrice, mi piace guardare la gente, stare con la gente e questo, ora come ora, non sembra possibile. Aiutare un signore anziano a timbrare il biglietto sul tram, ascoltare la musica nel tragitto casa-lavoro-università, sorridere a passanti, prendere un cappuccino al bar di fiducia. Una giornata banale eppure compromessa.

Ora, camminare per strada ti fa sentire un po’ di troppo, percepisci quasi un’esclusione, non vuoi fermarti a parlare con nessuno, mantieni una distanza di sicurezza con gli altri e sei insicuro. Ecco, ti senti estraniato. Dall’altra parte, però, non c’è solo distanza, ma anche una piccola volontà di fare sistema, un lieve accorpamento. Esci poco, ma saluti di più il tuo vicino di casa, apprezzi le persone che vivono con te, ti fai forza con loro e ti senti meno solo.

Come in tutti i momenti di difficoltà allora c’è sempre un limbo, una linea sottile tra sentimenti contrastanti. Io mi sento cosi, persa tra la voglia di uscire e la paura di farlo. Tra la diffidenza altrui e la vicinanza che, seppur di pochi, è forte. Una sensazione in bilico tra inclusione e straniamento. Rimane il fatto che stare a casa, nel mio caso, non sia produttivo, ma questo è molto soggettivo. Per un’amante della socialità come me, sicuramente, non è facile.

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