19th

Ottobre

Vintage gourmandise

Per fortuna la cucina è scampata al cocktail di scampi. Che negli anni Settanta imperversa fra gli antipasti, come un must mangereccio a cui non si può resistere, nel suo trionfo di salsa rosa e letto di insalata. Ed è scampata pure alle pennette o farfallette panna e salmone, primo piatto che spopola in menu. Ma è sfuggita al dilagare di intingoli e besciamelle proprio grazie a una piccola rivoluzione che in questi stessi anni inizia a farsi sentire, proponendo un ritorno alla semplicità e alla genuinità.

IL BUONO DI FA BELLO – Nouvelle cousine: è questo il termine con il quale due giornalisti esperti di gastronomia come Henri Gault e Christian Millau definiscono il novello modo di cucinare in Francia a metà degli anni Sessanta. Ma passa meno di un decennio che il concetto approda nel Bel Paese, grazie a uno chef tutto italiano: Gualtiero Marchesi, che, nel 1977 decide di aprire il suo ristorante a Milano, in via Bovesin della Riva, ottenendo nell’immediato una stella Michelin e raddoppiando l’anno successivo. Qualcosa sta cambiando tra i fornelli. Bandite salse e salsine pesanti, le ricette si fanno via via più easy, figlie di ingredienti staginali, cotture più veloci e accostamenti fantasiosi. Il senso estetico sta conquistando l’ideare e l’impiattare, ed è l’osare a guidare l’abbinare. Sempre senza dimenticare le tipicità regionali, che tornano all’arrembaggio, quali punti fermi da non abbandonare anche nel creare.

DOLCI RICORDI – È l’ottobre 1975 quando le prime confezioni di biscotti firmate Mulino Bianco fanno la loro comparsa sugli scaffali dei supermercati. E sul desco della colazione. Perché è subito successo. Si chiamano Galletti, Tarallucci, Molinetti, Pale e Campagnole, somigliano ai dolcetti della nonna e sono fragranti come appena fatti. Sacchetto giallo, spighe e fiori a suggellare la naturalità, un piccolo mulino a rammentare la tradizione e un marchio a evocare un universo rassicurante di buoni sentimenti. La strada verso la riscoperta del sano e dell’autentico è tracciata. Ed è tracciata con il coltello tuffato nel cioccolato pure la via della Nutella Ferrero, declinazione della Supercrema, a sua volta evoluzione del Giandujot, a base di nocciole, zucchero e cacao. La “N” nera e le lettere sorelle rosse diventano sinonimo di gourmandise, con tanto di fetta di pane spalmata e nocciola Tonda Gentile delle Langhe in primo piano. Il peccato di gola vienegiustificato da un saldo legame con il territorio. E così resta negli anni.

FAME DA RÉCLAME – “Voglio la caramella che mi piace tanto, du-du-du-du-du-du-du-Dufur”, canta Minnie Minoprio con minigonna bianca e massa di riccioli in testa in uno spot del mitico Carosello del dopocena, stuzzicando il palato di adulti e bambini. E poi c’è Nino Castelnuovo che salta la staccionata proponendo una sana alimentazione a base di Olio Cuore e Ave Ninchi con il suo chignon suggerisce di scegliere il pollo Aia. Sono piccole storie ritmate da conzoncine carine a far venire l’acquolina a tutti coloro che guardano la televisone. Peccato che Carosello abbia chiuso i battenti nel ’77. L’importante è ricordare che “Se c’è la goccia è Gim” e che “Vecchia Romagna etichetta nera” è “il brandy che crea un’atmosfera”. Che Susanna tutta panna bofonchia sempre “pitupitum…paah” e che il fraticello Cimabue fa una cosa e ne sbaglia due, ma consiglia con amorevole letizia che Dom Bairo è l’uvamaro perfetto per donare un momento di benessere alla vita.

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