7th

Novembre

Intervista a Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini

Ci avevano già provato nel 2005 con Non ti muovere, collezionando riconoscimenti e Nastri d’Argento

Ora Margaret Mazzantini e Sergio Castellitto tornano a collaborare rispettivamente come sceneggiatrice e regista di Venuto al mondo, l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto dalla stessa Mazzantini. La storia racconta il viaggio di Gemma (Penelope Cruz) e di suo figlio Pietro (Pietro Castellitto) a Sarajevo, per visitare una mostra fotografica dedicata alle vittime della guerra civile in cui sono presenti anche gli scatti realizzati dal padre del ragazzo, Diego (Emile Hirsch). Un’esperienza esistenziale, densa di ricordi indelebili e scandita da inaspettate rivelazioni.

L’intervista a Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini

Come è iniziata questa avventura?
Mazzantini: “Pensavo al romanzo già all’epoca del conflitto nei Balcani, ma ho cominciato a scriverlo solo anni dopo. Volevo dar voce a questo popolo e alla sua voglia di sopravvivere e mi sono attentamente documentata sull’assedio di Sarajevo, il più lungo della storia. Durante la guerra ci sono state innumerevoli vittime ma si è anche fatto tanto l’amore. Sotto le bombe gli abitanti hanno persino indetto un concorso di bellezza, di cui parlano gli U2 in una splendida canzone (Miss Sarajevo, realizzata con Brian Eno e Luciano Pavarotti, ndr)”. Prosegue Castellitto: “Gli slavi sono dotati di un senso dell’umorismo alcolico e truce, alla Buster Keaton, che non hanno mai abbandonato, nemmeno nei momenti più drammatici”.

Come definireste Venuto al mondo?
C.: “Parafrasando Tarkovskij, direi che questo film è una dichiarazione d’amore, fatta attraverso archetipi come il tradimento, la fedeltà, la memoria, la rimozione, la maternità”.
M.: “Una storia di quelle che ti fanno tornare a casa con la voglia di stringerti a ciò che hai di più caro”.

Un azzardo, visto che in Italia parlare di emozioni forti è considerato quasi un peccato.
C.: “Ma io adoro peccare! Con questo progetto abbiamo voluto metterci in gioco e volare alto, usando come strumento il melodramma. Gli artisti non devono essere prudenti, devono sporcarsi le mani e rischiare, anche a costo di risultare ridicoli”.

Cosa potete dirci del numeroso cast?
C.: “È ricco di contrasti, proprio come Sarajevo: affianca star internazionali a giovani attori che si sono formati nei sottoscala. Dopo aver letto il libro, Penelope ha voluto fortemente la parte, nonostante nel romanzo Gemma sia descritta come un tipo anglosassone e freddo. La sua fisicità sensuale rende la protagonista ancor più tragica, perché contrasta con la sua incapacità di avere figli. Emile ci era piaciuto tantissimo in Into the Wild: è così pieno di talento! Come Adnan (il poeta Gojko), un interprete bosniaco che all’epoca del conflitto era solo un bambino, e Saadet (Aska), un’attrice turca di un’intensità straordinaria”.

E Pietro, vostro figlio. Come è stato lavorare con lui?
C.: “In un’intervista ha dichiarato che sul set litigavamo sempre, ma non è vero. Studia filosofia e devo dire che mi ha sorpreso il suo desiderio di recitare. Ho scoperto che è un attento osservatore e che riesce a ‘ingannarmi’. Sono un regista molto pignolo e preciso, ma in fase di montaggio ho colto delle sfumature nella sua interpretazione che non avevo notato durante le riprese”.

L’adattamento è stato complesso?
C.: “Personalmente lo considero un privilegio: è come se la mamma ti facesse trovare la pasta fresca già tirata. Certo, la versione originale del film è lunga quattro ore e mezzo, non è stato facile dimezzarle. Ci siamo riusciti tenendo solo le scene madre”.
M.: “Lavorare alla riduzione cinematografica di un tuo romanzo è un esercizio molto utile, perché ti spinge a concentrarti sull’essenziale. Devo dire che, nonostante il libro fosse molto denso di contenuti e di salti temporali, Sergio ha fatto un ottimo lavoro: il risultato è un film mainstream che conserva una vena autoriale”. Ai lettori (e spettatori) l’ultima parola.

In sala dall’8 novembre.

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